
Il valore dei servizi ecosistemici supera i 150 mila miliardi di dollari

L’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che nutre miliardi di persone e il clima che regola la vita sulla Terra non sono dati acquisiti, ma il risultato dell’equilibrio dinamico dei sistemi naturali. Questi benefici, noti come servizi ecosistemici, sono indispensabili per la sopravvivenza umana e rappresentano anche una risorsa economica di valore straordinario: secondo recenti stime, il loro contributo è pari a oltre 150.000 miliardi di dollari all’anno, quasi il doppio del Pil mondiale. Eppure, dalla fine degli anni ’90, la progressiva perdita di questi servizi ha generato un danno economico stimato in 5.000 miliardi di dollari ogni anno, con un impatto superiore al 6% del Pil globale.
Uno dei principali settori responsabili di questa erosione è quello delle infrastrutture. A dimostrarlo è il nuovo report "A Value-Driven Approach to Nature-Based Infrastructure", realizzato da Boston Consulting Group e Quantis, che analizza come la realizzazione di grandi opere, e le attività collegate, siano all’origine di oltre un quarto della perdita di biodiversità causata dall’uomo. L’espansione delle reti di trasporto, degli impianti industriali e dei sistemi di gestione delle risorse ha determinato nel tempo una crescente frammentazione degli habitat, l’esaurimento di risorse naturali e un impatto diretto su ecosistemi terrestri, d’acqua dolce e marini.
Tuttavia, il report non si limita a denunciare il problema, indica anche una via d’uscita concreta, basata su un nuovo approccio alla progettazione infrastrutturale. «Il settore delle infrastrutture ha un ruolo chiave nel ripristino degli ecosistemi ambientali, integrando opere ingegneristiche con approcci nature-based che sfruttano i processi naturali per gestire le risorse e rafforzare la resilienza climatica – osserva Fabio Favorido, Associate Director di Bcg – L’interesse verso queste soluzioni sta crescendo, trainato da rendimenti positivi e dalla riduzione dei rischi economici legati alla perdita di biodiversità. Le istituzioni finanziarie sono fondamentali per supportarle, mobilitando capitali privati e utilizzando strumenti innovativi per incentivare la transizione ecologica. Per gli investitori pionieri, il finanziamento di progetti di ripristino ambientale offre ricavi potenziali fino a 250 milioni di dollari all’anno per istituzione».
Il cuore della trasformazione proposta si fonda sul superamento delle infrastrutture tradizionali, definite “grigie”, che si basano esclusivamente su sistemi ingegnerizzati – come argini, canali o barriere artificiali – e rispondono a esigenze specifiche, ma con un elevato consumo di risorse, costi di manutenzione importanti e impatti negativi sull’ambiente. A questa visione si contrappone quella delle soluzioni nature-based (NbS), che valorizzano i processi naturali, la rigenerazione degli ecosistemi e la loro capacità di affrontare sfide complesse come il cambiamento climatico, la gestione delle acque e la sicurezza alimentare. Esiste infine una terza via, rappresentata dalle soluzioni ibride, che combinano l’efficienza delle infrastrutture grigie con i vantaggi ecologici delle NbS, sviluppando progetti su misura capaci di integrare resilienza ambientale e funzionalità tecnica.
Secondo lo studio, il mercato del ripristino ambientale è destinato a crescere rapidamente, con una domanda che potrà raggiungere i 1.200 miliardi di dollari all’anno in capitali privati, da destinare ad aziende specializzate nella consulenza, nello sviluppo e nella gestione di progetti ambientali. Tuttavia, la diffusione di queste soluzioni è ancora disomogenea.
Un’indagine condotta su oltre 45 operatori infrastrutturali a livello globale mostra come, sebbene le imprese siano generalmente sensibili a temi come il cambiamento climatico o la riduzione dell’inquinamento, mostrino minore consapevolezza su questioni come la gestione sostenibile del suolo o la minaccia rappresentata dalle specie invasive. Solo il 30% ha avviato progetti concreti di rigenerazione ecologica, mentre l’80% delle azioni è ancora focalizzato su interventi di mitigazione, come l’efficientamento energetico o la riduzione degli sprechi.
Per cambiare davvero rotta, è necessario un salto di qualità: non basta più ridurre i danni, serve un approccio rigenerativo che punti a ripristinare ecosistemi, ridurre il consumo di risorse, aumentare la capacità di assorbimento del carbonio e costruire resilienza climatica nei territori. Le soluzioni nature-based offrono risposte concrete e adattabili nei diversi comparti: nei trasporti, ad esempio, attraverso la realizzazione di corridoi faunistici e ponti verdi; nelle città con micro-foreste e sistemi di drenaggio naturale; lungo le coste con barriere vegetali come mangrovie; nei settori idrico e dei rifiuti con zone umide artificiali e impianti di fitodepurazione.
A dimostrare l’efficacia anche economica di questo approccio è il caso di una comunità rurale nel Regno Unito, che ha sostituito il tradizionale impianto di trattamento delle acque reflue con una zona umida artificiale. Il risultato è stato un ritorno sull’investimento del 320%, più del doppio rispetto al 150% ottenuto con una soluzione convenzionale.
Adottare soluzioni in grado di sfruttare i processi naturali rappresenta dunque una risposta concreta alle sfide ambientali ed economiche del nostro tempo. Quando progettazione infrastrutturale e dinamiche ecologiche si incontrano, è possibile costruire opere che generano valore a lungo termine, non solo ambientale ma anche economico e sociale. Le infrastrutture del futuro dovranno imparare a lavorare con la natura, non contro di essa.
