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L’abbandono delle aree interne sta peggiorando l’impatto della crisi climatica in Italia

Lo spopolamento non è solo una perdita culturale e di biodiversità, è anche una minaccia per gli insediamenti e le persone che abitano a valle e sulle coste del Paese
 |  Territorio e smart city

Il rapporto Climate Risk Index 2025, pubblicato dall’organizzazione ambientalista Germanwatch sta suscitando scalpore per i drammatici numeri attribuiti all’Italia a causa degli effetti dei cambiamenti climatici: dal 1993 al 2022 si contano 38 mila morti e danni per 60 miliardi di dollari.

Si sapeva che il Mediterraneo è il mare che si sta scaldando più rapidamente di tutti al mondo, infatti ai vertici dei danni e dei lutti, insieme all’Italia, troviamo Grecia e Spagna, ma c’è una specifica causa di questi disastri nel nostro Paese che nel rapporto dell’associazione ambientalista tedesca è solo accennata che invece meriterebbe maggiore attenzione, ovvero l’abbandono dell’agricoltura.

Un rischio evidenziato chiaramente nel rapporto sull’alluvione in Romagna di maggio 2023 curata dal prof. Armando Brath: «Molti terreni forestali e agricoli abbandonati hanno causato una riduzione delle cure ordinarie del territorio e quindi anche di abbandono della rete idraulica minore. Il conseguente aumento di copertura forestale derivante dall’abbandono dell’uso del suolo che dovrebbe corrispondere a un aumento della capacità regimante della vegetazione, non si verifica perché l’aumento di copertura forestale, soprattutto in caso di foreste non gestite, abbinato alla diminuzione di manutenzione del territorio agricolo può essere controproducente in caso di eventi pluviometrici estremi in quanto l’aumento di densità all’interno del popolamento induce una maggiore competizione che riduce la resistenza meccanica indebolendo il popolamento (e la capacità di ancoraggio delle radici), ed una maggiore mortalità. Inoltre l’abbandono favorisce ribaltamenti di ceppaie, soprattutto in cedui abbandonati, mortalità di alberi e polloni che va ad alimentare il trasporto solido delle lave torrentizie, a mettere in pericolo infrastrutture lungo i corsi d’acqua».

L’Italia è il Paese dove sono concentrati i due terzi delle frane di tutta Europa, oltre 635 mila, e i terreni coltivati in abbandono hanno superato il 20% della Sau (Superfice agricola utile), mentre i boschi gestiti e pianificati sono solo il 15% del totale. Ma l’aspetto più preoccupante è che questo abbandono è concentrato nella fascia montana e alto collinare, ovvero l’area potenzialmente più a rischio per l’esposizione agli eventi climatici estremi causati dai cambiamenti climatici.

Alle necessarie azioni di contrasto all’impermeabilizzazione dei suoli (si veda ad esempio l’alluvione di stanotte all’Elba) e alle emissioni di gas serra, nel nostro Paese abbiamo un problema specifico che deve essere affrontato con urgenza, visto che la nostra penisola è prevalentemente montana ed è circondata da un mare sempre più caldo.

L’abbandono del territorio causato dallo spopolamento delle aree interne non è solo una perdita culturale e di biodiversità, è anche una minaccia per gli insediamenti e le persone a valle e sulle coste. I dati drammatici sugli effetti dei cambiamenti climatici dovrebbero portarci ad affrontare con risorse e soluzioni adeguate questo tema, cosa che purtroppo non sta avvenendo.

Paolo Pigliacelli

Si è occupato di gestione di aree naturali protette con ruoli esecutivi in diversi parchi. È stato responsabile del dipartimento progetti della Federparchi ricoprendo posizioni nella IUCN e per Europarc. Ha realizzato numerosi progetti nazionali e internazionali su biodiversità, turismo, agricoltura, mobilità e efficacia di gestione. Attualmente collabora con enti e istituzioni per iniziative sulle politiche territoriali e per misure sull’imprenditorialità locale. È esperto specialista per la Struttura Commissariale Sisma 2016 e collaboratore di Invitalia per il PNRR.