Skip to main content

Etna, in uno studio di antropologi e ricercatori dell’Ingv l’ipotesi «delocalizzazione selettiva»

Un’innovativa indagine multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che vivono in aree soggette a rischi naturali: «La priorità resta la salvaguardia della vita umana. L’esperienza etnea potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre aree del mondo esposte a calamità ricorrenti»
 |  Prevenzione rischi naturali

Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata dalla Struttura commissariale ricostruzione area etnea (Scrae). La decisione è motivata dalla ripetuta sismicità dell'area che rende pericoloso ed economicamente svantaggioso ricostruire nelle zone vulnerabili.

L’inedita strategia di «delocalizzazione selettiva» ha attirato l'attenzione di un gruppo di ricerca interdisciplinare dell'Università di Catania e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) che ha condotto lo studio “Risk Faults - Relocation, Displacement, and Homemaking on the Slopes of Mount Etna”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Antropologia Pubblica’.

«Nella notte del 26 dicembre 2018, un terremoto di magnitudo 5.02 ha colpito il fianco orientale dell'Etna, con epicentro nei pressi dell'abitato di Fleri, nel comune di Zafferana Etnea (Catania). Nonostante la magnitudo moderata, la ridotta profondità del sisma ha provocato ingenti danni a case e attività produttive nella fascia orientale etnea», spiega Mario Mattia, primo Tecnologo dell’Osservatorio Etneo Ingv.

L'evento ha riaperto il dibattito sulla ricostruzione: ricostruire «dov'era e com'era» o optare per soluzioni alternative?

«La ricerca, condotta attraverso metodi tipici degli studi antropologici, ovvero il dialogo, la raccolta di testimonianze orali e l’osservazione attenta delle emozioni, delle pratiche, dei gesti dei sopravvissuti, ha evidenziato che la scelta innovativa della Scrae, indirizzata verso una strategia di prevenzione definita "delocalizzazione selettiva", ha considerato aspetti fondamentali spesso trascurati nelle politiche di ricostruzione post-disastro», aggiunge Mara Benadusi, docente di Antropologia presso il dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania. Spiega la professoressa: «Il primo è l'adattamento socio-culturale delle famiglie colpite, che hanno progressivamente riorganizzato il proprio rapporto con il territorio, riconfigurando gli orizzonti di senso legati all'abitare in una zona a rischio sismico. Il secondo è l'importanza della mediazione istituzionale, una mediazione che, nel caso preso in esame, è stata capace di trovare un punto di incontro tra le esigenze dei cittadini e le necessità dello Stato. E, infine, l’analisi della leva economica, in quanto la valutazione dei beni perduti e l’erogazione delle somme necessarie alla ripresa hanno favorito una sintonizzazione non solo rispetto alle politiche dell'abitare, ma anche rispetto alla percezione culturale del rischio».

«Dove ha tremato, tornerà a tremare», affermava nel '700 il naturalista Leclerc de Buffon. 

Gli autori dello studio sottolineano come la «delocalizzazione selettiva» rappresenti una strategia promettente per affrontare eventi calamitosi ricorrenti come terremoti, eruzioni vulcaniche, fenomeni bradisismici e alluvioni. 

«Al di là degli aspetti economici, la priorità resta la salvaguardia della vita umana. L’esperienza etnea potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre aree del mondo esposte a rischi naturali ricorrenti», conclude Mario Mattia.

Il gruppo di ricerca, consapevole della necessità di coinvolgere attivamente le comunità locali, proseguirà gli studi per sviluppare modelli di delocalizzazione partecipata e resiliente.

Redazione Greenreport

Greenreport conta, oltre che su una propria redazione giornalistica formata sulle tematiche ambientali, anche su collaboratori specializzati nei singoli specifici settori (acqua, aria, rifiuti, energia, trasporti e mobilità parchi e aree protette, ecc….), nonché su una rete capillare di fornitori di notizie, ovvero di vere e proprie «antenne» sul territorio.