Nell'ultimo anno in Italia ci sono stati 16.836 terremoti, il più forte in Calabria
La Rete sismica dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ha registrato, nel corso del 2024, oltre 46 terremoti al giorno: due in più rispetto al 2023, per un totale di 16.826 scosse lungo lo stivale.
Si tratta di una tendenza in linea con i dati degli anni precedenti: dal 2019, infatti, il numero totale dei terremoti localizzati nel nostro Paese si mantiene stabile tra i 16.000 e i 17.000 eventi sismici annui, in calo rispetto al triennio 2016-2018 quando l’Italia centrale venne interessata dalla sequenza sismica iniziata con il forte terremoto di Accumoli (RI) del 24 agosto 2016.
Sebbene la maggior parte dei terremoti del 2024 sia stata di piccola intensità, 2.082 eventi sismici hanno avuto magnitudo pari o superiore a 2.0, quindi sono stati potenzialmente avvertiti dalla popolazione; tra questi, 26 terremoti hanno fatto registrare una magnitudo compresa tra 4.0 e 4.9 e soltanto uno (quello di Pietrapaola) ha raggiunto magnitudo 5.0, sul territorio nazionale.
L’evento sismico più forte del 2024 è stato registrato a Pietrapaola (CS), in Calabria, con magnitudo Mw 5.0, seguito da una delle due sequenze sismiche che hanno interessato l’area ionica della regione tra maggio e settembre.
«Il servizio di sorveglianza sismica che l’Ingv svolge assicura la comunicazione dei parametri degli eventi sismici in tempi brevi alla Protezione civile e al pubblico – commenta Lucia Margheriti, direttrice dell’Osservatorio nazionale terremoti dell’Ingv – Siamo orgogliosi di svolgere questo compito e di fornire alla comunità scientifica i dati di base per migliorare la comprensione del processo sismogenetico. Puntiamo a migliorare sempre di più i servizi, i prodotti e la nostra comunicazione».
Oltre all’indispensabile opera di monitoraggio, in un Paese ad alto rischio sismico come il nostro sarebbe però altrettanto importante investire in prevenzione. E dato che i terremoti per il momento almeno sono fenomeni imprevedibili, l’unica strada è quella di investire in edilizia antisismica (quando non in delocalizzazioni selettive, per casi estremi).
Di fatto secondo la classificazione sismica dei comuni italiani della Protezione civile, elaborata da Cresme-Isi, il 44% del territorio nazionale (133mila kmq) è in area ad elevato rischio (zona sismica 1 e zona sismica 2). Allargando il quadro d’osservazione troviamo che 48 milioni di italiani vivono in 11 milioni di edifici e 17 milioni di abitazioni nelle aree di pericolosità sismica 1,2,3. Nella prima zona sono possibili “fortissimi terremoti”, nella zona 2 “Forti terremoti”, ma anche nella zona 3 possono verificarsi seppur raramente, forti terremoti.
In occasione della VII Giornata nazionale della prevenzione sismica, organizzata da fondazione Inarcassa insieme al Consiglio nazionale degli ingegneri e a quello degli architetti poco prima di Natale, è emerso che oggi in Italia sono circa 18 milioni gli immobili a uso residenziale a rischio sismico e che necessiterebbero di interventi immediati, una grande opera di manutenzione straordinaria che richiederebbe una spesa di 219 miliardi di euro, tenendo conto delle diverse aliquote a seconda del rischio sismico e delle agevolazioni del Sismabonus. Servirebbero, quindi, poco più di 7 miliardi di euro all’anno per 30 anni per mettere in sicurezza il nostro patrimonio immobiliare e per mitigare il rischio.
Davanti a questo quadro, il Governo Meloni ha avviato un Piano nazionale per la prevenzione sismica, ma con una dotazione irrisoria: 250 milioni di euro, circa lo 0,1% del necessario.