Agostino Re Rebaudengo lascia la presidenza di Elettricità futura, al lavoro sul successore
L’assemblea generale di Elettricità futura – l’associazione confindustriale che rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale – ha approvato ieri «all’unanimità» il bilancio d’esercizio 2023, forte dei positivi risultati raggiunti, eppure il presidente Agostino Re Rebaudengo si prepara a lasciare il passo.
Re Rebaudengo ha infatti comunicato all’assemblea di «aver già avviato la procedura per individuare il prossimo presidente dell’associazione, dando seguito alla sua decisione già comunicata nel Consiglio dello scorso 11 ottobre, con l’obiettivo di arrivare celermente all’elezione del suo successore».
In base alle indiscrezioni riportate dal Corriere della Sera il percorso durerà sei settimane, e sarebbe affidato a un comitato composto da Luca Alippi (Ep Produzione), Marco Peruzzi (Edison), Guido Bortoni (Cesi), Giuseppe Mastropieri (Rea) e Felice Egidi (Ef). Lo stesso quotidiano riporta che a favore di un cambio presidente si sarebbe espresso «l’80% della rappresentanza», ma è la stessa Elettricità futura a correggerlo specificando che l’assemblea «ha riconosciuto al presidente Re Rebaudengo la sensibilità di aver saputo interpretare il confronto interno sollecitato recentemente da 8 aziende tra le oltre 500 associate – e non dall’80% degli associati come erroneamente riportato in numerosi articoli stampa – offrendo all’associazione la disponibilità a terminare anzitempo il proprio mandato, la cui scadenza è prevista nel 2026, una decisione presa nell’auspicio che Elettricità futura possa continuare con la stessa forza e unità a promuovere la crescita del settore elettrico italiano».
Resta un fatto che il terremoto attorno a Re Rebaudengo sia cominciato a emergere pochi giorni dopo il forte appello indirizzato a Palazzo Chigi e firmato congiuntamente con Federazione Anie – andando così a rappresentare l’intera filiera elettrica nazionale in seno a Confindustria – denunciando che «il nuovo quadro normativo (dm Aree Idonee, dl Agricoltura e l'emanando "Testo unico per le rinnovabili") rischia di tradursi in un vero e proprio stop ai progetti già in corso di autorizzazione» per le fonti pulite, oltre a inibirne il futuro sviluppo.
Un boccone molto amaro da digerire per il Governo Meloni quanto per la Confindustria oggi guidata dal reazionario presidente Orsini, entrambi in retromarcia sul Green deal europeo. Al contempo, sull’ipotesi – divenuta ormai certezza – di una fine prematura per l’attuale presidenza di Elettricità futura si è scagliato con forza il 100% rinnovabili network, che riunisce le principali associazioni ambientaliste nazionali ovvero Legambiente, Greenpeace, Wwf, Kyoto club e Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che hanno denunciato un Paese in bilico tra un possibile ritorno surreale del nucleare e lo status quo di un paese in balia dei produttori di gas.
«Abbiamo lavorato per definire un’identità più chiara e un posizionamento più forte di Elettricità futura – commenta Agostino Re Rebaudengo – La centralità dell'associazione è stata un importante fattore di richiamo anche per le aziende che negli ultimi anni hanno sentito l'esigenza di associarsi. Anno dopo anno, il numero degli associati e la fiducia riposta nell’associazione sono cresciuti, a riprova della qualità e dell’efficacia del nostro lavoro. Quando quattro anni fa abbiamo cominciato a predisporre il Piano elettrico al 2030, l’obiettivo nazionale di sviluppo delle rinnovabili era di soli 40 GW al 2030. Oggi, quanto indicato nel nostro Piano, +80 GW al 2030, è un obiettivo normativo che leggiamo nel decreto Aree idonee».
Ma la differenza tra la teoria e la pratica resta molto ampia, come mostra da ultimo l’epilogo di questa presidenza. In primo luogo perché neanche il Governo sembra sapere cosa vuole, sul fronte delle rinnovabili: al di là del decreto Aree idonee, il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) punta a soddisfare al 2030 il 63% della domanda elettrica mentre Elettricità futura pone l’asticella al 75%. In secondo luogo è l’intero impianto normativo messo in piedi al Governo Meloni – i già citati Pniec, decreto Agricoltura, decreto Aree idonee, Testo unico sulle rinnovabili, ma anche il recentissimo decreto Ambiente – ottiene il risultato di introdurre nuove e molteplici ostacoli all’iter autorizzativo degli impianti. Che già oggi stentano a svilupparsi al ritmo necessario: per raggiungere i target delineati da Elettricità futura in coerenza con gli obiettivi europei del RePowerEu servirebbero al Paese circa +12 GW l’anno, mentre anche il 2024 si chiuderà a molto meno, ovvero attorno a +7 GW. Appesantendo così ulteriormente il gap da colmare entro il 2030. Uno scherzo che, oltre in termini di sostenibilità e di competitività, potrebbe contribuire a un costo da 15 miliardi di euro per l’Italia: il prezzo per comprare sul mercato Eu Ets i crediti di CO2 necessari a compensare il mancato taglio delle emissioni previsto per rispettare il regolamento europeo Esr (Effort sharing regulation).