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La guerra per il petrolio del Sudan: 800.000 persone intrappolate a El Fasher

Oms: le scorte stanno finendo. Milioni di persone in fuga
 |  Nuove energie

Il rappresentante dell’Organizzazione mondiale della sanità in Sudan, Shible Sahbani, ha lanciato l’ennesimo drammatico allarme sulla guerra civile per il petrolio tra l’esercito golpista e le milizie sue ex alleate che sta devastando uno dei più grandi Paesi dell’Africa: «La fame e la paura della carestia affliggono il Sudan, dove ben 800.000 persone restano intrappolate nella capitale del Darfur settentrionale, El Fasher, senza cibo, acqua o assistenza medica sufficienti. I pesanti combattimenti tra gli eserciti rivali del Sudan hanno reso l'accesso a El Fasher completamente impossibile, mentre le parti in conflitto nel paese continuano a tenere colloqui a Ginevra».
L'ultimo allarme sull'emergenza Sudan arriva 15 mesi dopo lo scoppio della guerra tra gli eserciti rivali che ha impedito la transizione verso un governo civile dopo il colpo di stato militare del 2021 seguito alla cacciata del presidente/dittatore Omar Al-Bashir nel 2019. Una guerra civile per mettere le mani sulle risorse petrolifere e minerarie del Sudan e che vede esercito e milizie appoggiati da diverse potenze regionali che vogliono spartirsi quelle risorse con i vincitori.
Durante una conferenza stampa a Gunevra, Sahbani ha denunciato che «Gli stati del Darfur, del Kordofan, di Khartoum e di Al Jazira sono tutti tagliati fuori dall’assistenza umanitaria e sanitaria a causa dei combattimenti incessanti. La situazione nel Darfur è particolarmente allarmante, dove in luoghi come El Fasher… i feriti non possono ricevere le cure urgenti di cui hanno bisogno; i bambini e le donne incinte e che allattano sono deboli a causa della fame acuta»,
Vaste aree del Sudan sono state colpite da violenti combattimenti con armi pesanti e bombardamenti aerei, dopo che i combattimenti tra gli ex alleati delle Sudanese Armed Forces e delle Rapid Support Forces (RSF) si sono estesi dalla capitale, Khartoum, ad altre regioni e stati, tra cui il Darfur, nella parte occidentale del vasto paese.
Sahbani ha chiesto che i militari e e RSF «Garantiscano la protezione dei civili, delle squadre di soccorso e delle infrastrutture pubbliche, compresi gli ospedali, in linea con il diritto internazionale umanitario» e ha avvertito che l’accesso dell’OMS, delle agenzie umanitarie dell’Onu e delle ONG internazionali ad aree come quella di El Fasher «E’ immediatamente necessario per evitare la disastrosa situazione sanitaria. Le scorte sanitarie esistenti sono state utilizzate per rifornire alcuni ospedali di El Fasher, ma non sono sufficienti e non sono sostenibil. l'ufficio di coordinamento degli aiuti delle Nazioni Unite, OCHA , sta continuando a negoziare con le varie parti in guerra per consentire che i rifornimenti di soccorso vengano trasportati su camion ovunque possibile. Mentre parliamo ora ho sette camion in movimento dal Kordofan verso il Darfur... e proprio ieri abbiamo ricevuto l'approvazione per farli muovere verso il Darfur. Ci sono anche buoni segnali sulle operazioni di aiuti transfrontalieri da tutte le diverse parti. Ma, ancora una volta non è sufficiente, perché dobbiamo occuparci di questi casi su base ad hoc... Abbiamo bisogno di più sostegno nel Paese con i diversi belligeranti, ma abbiamo bisogno anche di sostegno con i grandi Paesi, con coloro che hanno una certa influenza sulla situazione».
Sahbani ha raccontato che detto che mentre era in missione di valutazione nel vicino Ciad la scorsa settimana, i rifugiati disperati gli hanno detto che «Il motivo principale per cui hanno lasciato il Sudan ora è la fame, la carestia... Hanno detto che non è l'insicurezza, non è la mancanza di accesso ai servizi di base, ma perché lì non abbiamo niente da mangiare».
Il funzionario dell'Oms è rimasto scioccato quando una donna fuggita dal Darfur e arrivata ad Adré, appena oltre il confine orientale del Ciad, gli ha detto che «Qualunque cosa usiamo per produrre [cibo] localmente, per mangiare, è stata presa dai combattenti». La profuga aveva camminato per tre giorni con i suoi figli in cerca di sicurezza, senza cibo per tutto il viaggio.
Di fronte a questa apocalisse umanitaria dimenticata, Sahbani ha denunciato che «La risposta umanitaria in Sudan è finanziata solo al 26%, questa emergenza è una delle peggiori al mondo».
L'accesso umanitario e la protezione dei civili sono tra i principali punti in discussione nei colloqui tra i rappresentanti delle Sudanese Armed Forces e i miliziani delle Rapid Support Forces iniziati la scorsa settimana a Ginevra, sotto la guida dell'inviato personale del Segretario generale delle Nazioni Unite per il Sudan, Ramtane Lamamra.
La portavoce dell’Onu a Ginevra, Alessandra Vellucci, ha detto ai giornalisti che «Entrambe le delegazioni sono impegnate. Il signor Lamamra e il suo team hanno avuto diverse interazioni con ciascuna di esse durante il fine settimana».
Sahbani ha concluso: «Se non otterremo un cessate il fuoco, almeno potremmo ottenere la protezione dei civili e l'apertura di corridoi umanitari».

Redazione Greenreport

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