I combustibili fossili hanno raggiunto il picco in Ue e Usa, ma crescono nel resto del mondo
La 73esima edizione della Statistical review of world energy, pubblicata dall’Energy institute insieme a Kpmg e Kearney, documenta che nell’ultimo anno il consumo globale di energia primaria è cresciuto del 2% nell’ultimo anno, a 620 Exajoule (mentre in Italia si stima si sia fermato a 157 Mtep, -2,5%).
A crescere è sia l’uso dei combustibili fossili, sia quello delle energie rinnovabili. I fossili hanno toccato un nuovo record (505 EJ, +1,5%), spinti da carbone (+1,6%) e petrolio (+2%, superando per la prima volta quota 100 mln di barili); di conseguenza anche le emissioni di CO2 del comparto energetico hanno toccato un nuovo record (oltre 40 Gt, +2%).
«Con un aumento della temperatura globale vicino a 1,5°C, il 2023 è stato l’anno più caldo dall’inizio delle misurazioni e gli impatti sempre più gravi dei cambiamenti climatici si sono fatti sentire in tutti i continenti», evidenzia nel merito la presidente dell’Energy institute, Juliet Davenport.
La buona notizia è che la produzione di energia rinnovabile è cresciuta ben di più (+13%) raggiungendo quota 4.748 TWh, trainata quasi interamente da eolico e solare; resta il fatto che le fonti pulite coprono “solo” il 15% del consumo di energia primaria (senza contare l’idroelettrico, il dato si dimezza all’8%).
«Il progresso della transizione è lento, ma il quadro generale maschera diverse storie energetiche che si svolgono in diverse aree geografiche – commenta l’ad dell’Energy institute, Nick Wayth – Nelle economie avanzate osserviamo segnali di un picco della domanda di combustibili fossili, in contrasto con le economie del Sud del mondo, per le quali lo sviluppo economico e il miglioramento della qualità della vita continuano a guidare la crescita dei combustibili fossili».
Secondo il rapporto è infatti «probabile» che la dipendenza dai combustibili fossili nelle principali economie avanzate abbia raggiunto il picco: in Europa, per la prima volta dalla rivoluzione industriale, i combustibili fossili offrono meno del 70% dell’energia primaria grazie alla riduzione della domanda e alla crescita delle rinnovabili, mentre anche in Usa il dato è sceso all’80%.
In compenso l’India brucia ormai più carbone di Europa e Usa insieme, mentre in Africa i combustibili fossili rappresentano ancora il 90% del consumo energetico complessivo.
E la Cina? La tumultuosa crescita del gigante asiatico ha segnato +6% sull’uso dei fossili, nonostante la quota di energia primaria coperta da queste fonti sia in calo ormai dal 2011 e ormai non lontana (81,6%) dal dato Usa; per la prima volta, la Cina ha anche superato l’Europa in termine di energia procapite. Ma le fonti pulite non restano certo indietro: da sola, la Cina ha installato più impianti rinnovabili del resto del mondo.
In un quadro tanto eterogeneo non è facile delineare quale sarà l’orizzonte finale della transizione, ma le prospettive economiche parlano chiaro. Se il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) indica chiaramente nelle rinnovabili le tecnologie più efficienti sotto il profilo dei costi per contenere le emissioni di CO2, l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) documenta che in Europa e Usa le rinnovabili sono più convenienti rispetto ai fossili come anche al nucleare – guardando sia ai costi di produzione sia a quelli di sistema –, oggi, nel 2030 e nel 2050; in Cina sarà tendenzialmente lo stesso dal 2030, mentre agli altri Paesi (a partire dall’India, dove il carbone dovrebbe rimanere la fonte più economica anche a metà del secolo) serve un maggiore ruolo guida da parte delle economie più avanzate, in un rapporto win-win fatto di scambi tecnologici, interconnessioni energetiche e compensazioni economiche.
«La Cop28 e la retorica dei leader mondiali sulla transizione energetica dimostrano l’ambizione di ridurre la dipendenza mondiale dai combustibili fossili. Tuttavia, questa ambizione è inutile a meno che non sia accompagnata da azioni drastiche e coordinate, che abbiano un impatto reale e immediato sulla mitigazione del cambiamento climatico», conclude nel merito l’ad dell’Energy transition institute, Romain Debarre.