Inquinamento da Pfas, dopo un decennio sta per arrivare a sentenza il processo Miteni
Venerdì a Vicenza entrerà nelle fasi conclusive il processo Miteni, uno dei casi d’inquinamento idrico più gravi da Pfas (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche), che ha esposto al rischio circa 350 mila persone.
Si parla dell’area compresa tra le province di Vicenza, Verona e Padova, in Veneto, colpita negli anni dall’inquinamento delle acque superficiali e falde acquifere da Pfas, iniziato secondo l’Arpa regionale già dalla fine degli anni ‘70. La maggior indiziata, secondo le analisi di Arpa Veneto, è la Miteni Spa, ex Rimar, una fabbrica chimica che insiste sui territori di Trissino (Vicenza), che oggi vede 15 ex manager rinviati a giudizio per avvelenamento delle acque e altri reati.
Una crisi emersa pubblicamente oltre un decennio fa, a partire da un’indagine Cnr-Irsa del 2013, che ha contribuito ad alzare l’allarme su questi cosiddetti “inquinanti eterni” perché non si degradano nell’ambiente, accumulandosi nel corpo umano e potendo così causare diverse patologie, tra cui alcune forme tumorali.
Greenpeace Italia, insieme ad altre associazioni ambientaliste, si è costituita parte civile nell’ambito del processo e in vista dell’udienza, a partire da venerdì prossimo, affiancherà i comitati locali e le numerose associazioni nazionali che da anni si battono contro questa contaminazione. La richiesta è quella di un’immediata bonifica del sito Miteni, chiuso da anni ma che, come certificano i dati recenti degli enti pubblici, continua a inquinare con i Pfas la seconda falda acquifera più grande d’Europa, mettendo in pericolo la salute di cittadini e cittadine.
«Il processo di Vicenza rappresenta un’occasione storica per fare giustizia sui crimini ambientali. Ci uniamo alla popolazione esposta a questo grave inquinamento per chiedere che vengano accertate tutte le responsabilità – commenta Giuseppe Ungherese, responsabile Inquinamento di Greenpeace – Queste giornate di mobilitazione saranno l’occasione per portare all’attenzione pubblica alcuni nodi ancora irrisolti, come la bonifica e la questione della contaminazione di alcuni prodotti alimentari: si tratta di due macchie indelebili sull’operato degli enti pubblici su cui da tempo chiediamo un cambio di passo non più rinviabile».
La contaminazione da Pfas è considerata una forma di inquinamento emergente, anche nel nostro Paese in cui, nonostante gravi casi come quello del Veneto o di alcune aree del Piemonte; per questo Greenpeace ha pubblicato nelle scorse settimane una prima mappa nazionale dell’inquinamento da Pfas, che ha suscitato nuovi allarmi – percentuali di Pfas sono rilevate nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati – ma anche prospettive più rassicuranti; ad esempio, nonostante la necessità di ulteriori approfondimenti e il plauso ambientalista per i nuovi controlli annunciati, tutti i gestori idrici mostrano concentrazioni di Pfas entro i limiti europei che entreranno in vigore l’anno prossimo.
Ma è evidente la necessità di fare di più, soprattutto per arrivare a un bando di queste sostanze. Nel merito, Greenpeace ritiene «inaccettabile l’inazione del governo su questo tema. Nonostante prove schiaccianti sui gravi danni alla salute causati dai Pfas, alcuni dei quali riconosciuti come cancerogeni, e la contaminazione diffusa delle acque potabili italiane, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni continua a ignorare questa emergenza, fallendo nel proteggere adeguatamente la salute pubblica e l’ambiente. Il governo Meloni deve rompere il silenzio su questa crisi e vietare produzione e uso di Pfas in Italia: la popolazione ha diritto a bere acqua pulita, libera da veleni e contaminanti».