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Lungo lo Stivale ci sono ancora decine di Sin, discariche abusive e siti orfani da bonificare

Terra dei fuochi, ecco quali sono gli obblighi per l’Italia dopo la condanna della Corte europea

Per i giudici è “sufficientemente grave, reale e accertabile” il rischio di morte, ma a condannare lo Stato basta il principio di precauzione
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

La Corte europea dei diritti umani ha finalmente riconosciuto quello che per anni sì era voluto nascondere: lo Stato ha colpevolmente trascurato la cosiddetta “Terra dei Fuochi”, condannando chi vi abita a vivere tra rifiuti tossici, roghi e malattie indotte dalla combustione incontrollata degli stessi rifiuti. Sono stati presentati decine di ricorsi a Strasburgo e finalmente la sentenza del 30 gennaio scorso non lascia alcun dubbio: tra Napoli e Caserta l’inquinamento è stato per anni un affare redditizio per criminali ed aziende di dubbia moralità.

Due anni è il tempo concesso dai giudici della Suprema corte per rimediare (tentare): l’inquinamento è mortale, “sufficientemente grave, reale e accertabile” il rischio di morte, tanto da essere dagli stessi giudici definito “imminente”. I dati scientifici e le statistiche sanitarie non mentono, così come non mentono i morti per tumore.

Abbiamo ben presente che per lunghi anni si è parlato di piani e interventi; tuttavia, i rifiuti tossici continuavano a confluire in quel territorio, a essere interrati e/o combusti e così finire direttamente nei polmoni delle persone. Rileva, inoltre, evidenziare che la Corte di Strasburgo, con sentenza definitiva, decisa da un collegio di sette giudici nel quale figura anche l’italiano Raffaele Sabato, impone all’Italia, tra l’altro, di: “Istituire una commissione di controllo indipendente, che comprenda membri liberi da qualsiasi affiliazione istituzionale con le autorità statali» e, ancora, “istituire un'unica piattaforma informativa pubblica che raccolga tutte le informazioni rilevanti relative al problema Terra dei fuochi”. Queste misure, viene chiarito, dovranno essere attuare entro due anni, a pena di successive sanzioni pecuniarie.

Assistiamo attoniti al fatto che lo Stato italiano sia condannato, senza via di scampo; così è stato messo di fronte alle proprie responsabilità, ai propri ritardi, omissioni e a quant’altro la superficiale e – spesso anche insufficiente – azione della pubblica amministrazione non ha fatto o ha fatto male.

Certamente non giova al Paese, adesso, stabilire una graduatoria di colpevoli, stilare una classifica al ribasso tra ministeri, regione, prefetture, comuni, forze dell’ordine e chi più ne ha più ne metta. Il dato negativo era ed è, purtroppo, ancora, sotto gli occhi di tutti: proprio per tale ragione occorre ripartire da questa sentenza che, a nostro modo di vedere, dovrà diventare punto di partenza per programmare, organizzare e attuare tutto quello che per decenni non è stato ancora fatto.

La Terrà dei fuochi costituisce soltanto la punta dell’iceberg, sul nostro territorio si contano a decine i Sin (Siti di interesse nazionale), le discariche abusive, i cosiddetti siti orfani che attendono da decenni interventi di bonifica. Cito, tra le decine di Sin ancora da bonificare, tre casi di particolare vetustà e gravità: Mestre, Priolo, Piombino, che necessitano di essere bonificati senza ulteriore indugio, senza aspettare che sia l’intervento di una sentenza internazionale a dover tirare le briglie (ma viene più immediato dire orecchie) ai nostri decisori politici, assenti dalla dimensione reale in cui versa il Paese. 

Concludo con una riflessione fatta dai giudici della Corte: il principio adottato a Strasburgo, in accoglimento del ricorso proposto da alcuni cittadini, che pur ad oggi non hanno contratto patologie, viene adottata sulla base del “principio di precauzione” allo stato delle informazioni disponibili fin dal 1988 (mentre i primi interventi statali arrivarono nel 2013): per la Cedu, infatti, rispetto a un rischio per la vita «sufficientemente grave, reale e accertabile», che poteva essere qualificato come imminente, lo Stato, “per sottrarsi al suo dovere di protezione nei confronti degli abitanti, non poteva trincerarsi dietro il fatto che non potessero essere accertati gli effetti precisi che l’inquinamento avrebbe potuto avere sulla salute dei cittadini”. Roma (Strasburgo) locuta est!

Aurelio Caligiore, Ammiraglio Ispettore del Corpo della Guardia Costiera

Da oltre trent’anni Ufficiale della Marina Militare del Corpo della Guardia Costiera, l’Ammiraglio Ispettore Aurelio Caligiore è da sempre impegnato in attività legate alla tutela dell’ambiente. Nell’ultimo decennio è stato Capo del Reparto ambientale marino delle Capitanerie di Porto (RAM) presso il ministero dell’Ambiente. Attualmente è Commissario presso la Commissione Pnrr-Pniec del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase).