In Italia grandi potenzialità per l'industria net-zero, ma pesa la dipendenza dai fossili
La DG Energia della Commissione europea ha pubblicato un nuovo studio indipendente dedicato al panorama dell'industria manifatturiera a zero emissioni nette nei paesi dell'Ue, offrendo una panoramica dello stato attuale nei settori chiave correlati in tutti i 27 paesi europei, come batterie, pompe di calore, energia eolica e solare e altre energie rinnovabili.
I risultati offrono un quadro dettagliato, compreso un focus nazionale su punti di forza e lacune nello sviluppo italiano di un’industria net-zero. Il bicchiere mezzo pieno parte dal riconoscere che «l'Italia è un esportatore competitivo a livello internazionale di vari componenti della tecnologia net-zero». In particolare per alcuni componenti cruciali della filiera solare – fotovoltaico e termico – il nostro Paese mostra «un elevato tasso di crescita e un Rca (vantaggio comparato rivelato, ndr) più elevato sia rispetto alla Cina che agli Stati Uniti», ce lo stesso vale per componenti centrali nelle infrastrutture di rete: la Commissione Ue parla di potenziali d’esportazione stimati, rispettivamente, in 3,9 e 3,7 miliardi di euro.
«La base manifatturiera tradizionalmente forte dell'Italia, una delle meno intensive dal punto di vista energetico tra i paesi Iea – aggiunge lo studio –, fornisce accesso ai componenti e alle competenze necessarie per varie tecnologie net-zero. Questo è specificamente il caso dell'energia eolica, solare termica e solare fotovoltaica, nonché del biogas, delle pompe di calore e degli elettrolizzatori».
Le note dolenti invece sono note. Da un lato i lunghissimi tempi autorizzativi per le Valutazioni d’impatto ambientale (Via), dove i tentativi di semplificazione non stanno portando i frutti sperati: «Nella pratica possono ancora verificarsi ritardi, estendendo il processo a diversi anni», evidenzia lo studio.
L’altro grande ostacolo sono gli elevati costi dell’energia. Da cosa dipendono? «L'Italia deve far fronte a prezzi energetici elevati a causa di tasse energetiche elevate, elevata dipendenza dai combustibili fossili e connessioni di rete limitate», risponde la Commissione Ue. Basti osservare che nell’ultimo anno l’Italia ha speso 48,5 miliardi di euro solo per l’import di gas e petrolio, mentre dove le rinnovabili corrono – come in Spagna e Portogallo – i prezzi delle bollette sono già oggi più bassi: se anche l’Italia avesse tenuto lo stesso ritmo di penetrazione sul mercato delle rinnovabili registrato nei Paesi iberici, negli ultimi 4 anni avrebbe risparmiato 74 miliardi di euro.