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Il focus dell’Ufficio parlamentare di bilancio

In Italia almeno il 15% della tassa rifiuti viene evaso, e i costi salgono (anche) per carenza d’impianti

Per legge dovrebbe coprire integralmente i costi dell’igiene urbana, ma in realtà i Comuni attingono ad altre voci di bilancio per coprire i buchi
 |  Green economy

La Tari è il secondo tributo comunale per importanza dopo l’Imu, con un gettito pari a 10,5 miliardi nel 2023: si tratta della tassa sui rifiuti, che a norma di legge deve – o almeno dovrebbe –  assicurare un gettito tale da consentire l’intera copertura finanziaria dei costi di gestione dei rifiuti urbani.

In realtà questi non accade, tant’è che l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha aperto un focus per affrontare il problema della mancata riscossione della Tari, particolarmente rilevante per i Comuni e per la solidità dei loro bilanci.

Dall’analisi emerge che gli incassi complessivi nel triennio 2021-23 sono stati mediamente pari a circa l’85% degli importi accertati, con valori decrescenti passando dal Nord al Sud (94 per cento nel Nord, 86 nel Centro e 77 nel Sud). Inoltre la riscossione in conto residui (ossia dei crediti Tari maturati negli esercizi precedenti) appare anche inferiore a quella in conto competenza (ossia dei crediti maturati nell’anno): nel 2023 metà degli Enti locali considerati nelle analisi ha riscosso in conto competenza meno del 71,4% della Tari accertata, a fronte di meno del 24,3% dello stock dei residui attivi. La capacità di riscossione dei Comuni tende inoltre a diminuire con l’aumentare della popolazione residente.

Più in generale, l’Upb conferma che i costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani e, conseguentemente, la Tari, risultano più elevati nei Comuni del Sud e del Centro rispetto a quelli del Nord: come spiega l’Ufficio parlamentare «vi influiscono, da un lato, i maggiori costi variabili della gestione dei rifiuti, che riflettono le carenze nella dotazione di impianti per il trattamento e lo smaltimento delle diverse tipologie di rifiuti e, dall’altro, la dimensione comunale, che incide sia sui costi fissi che su quelli variabili del servizio, con i Comuni più grandi che tendono a pagare una Tari più alta».

Il centrosud presenta infatti una strutturale carenza d’impianti, soprattutto sul fronte del recupero energetico, determinando un massiccio ricorso all’export fuori regione o addirittura all’estero, che naturalmente incide – oltre che sul bilancio ambientale – sull’ammontare dovuto in Tari.

«Il superamento dei divari territoriali nella dotazione impiantistica delle Regioni nel Centro e nel Sud, che è tra gli degli obiettivi del Pnrr – evidenzia nel merito l’Upb – è cruciale oltre che per far sì che la Tari diventi uno strumento efficace per ridurre le quantità dei rifiuti prodotti, per rendere l’imposizione della Tari equa tra diverse aree del paese e per aumentare la capacità degli Enti locali di coprire i costi del servizio».

Non sempre però la Tari riflette adeguatamente i costi dell’igiene urbana, come prevedrebbe la legge. Del resto anche la mancata riscossione di parte della Tari compromette l’integrale copertura dei costi di gestione dei rifiuti con gli introiti della tassa. Ciò nonostante, la spesa per il servizio di gestione dei rifiuti «non risulta risentirne, rimanendo allineata alla Tari accertata e non a quella riscossa, suggerendo – sottolinea l’Upb – che i Comuni attingono ad altre voci di bilancio per garantire la continuità del servizio a scapito di altri. Ciò avviene soprattutto tra i Comuni del Sud, normalmente caratterizzati da minori disponibilità di spazi finanziari e da livelli di fornitura dei servizi comunali già mediamente deficitari».

In barba alla legge, la compensazione della Tari non riscossa con altre risorse comunali riduce di fatto la percezione del tributo da parte delle comunità locali come una tassa i cui oneri dovrebbero essere connessi direttamente all’intensità e alla qualità del servizio, e lo depotenzia come strumento per incentivare la riduzione delle quantità dei rifiuti prodotti. Oltre al danno ambientale ed economico, dunque, c’è anche la beffa.

Redazione Greenreport

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