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Presentato a Roma il nuovo studio Iren-Ambrosetti, servono investimenti per 1,2 mld di euro

È il riciclo dei Raee la strada più efficace per colmare il gap italiano sulle materie prime critiche

Dal Fabbro: «Da questo dipende il 32% del Pil italiano, oltre la competitività industriale e la sicurezza strategica nazionale»
 |  Green economy

Aerospazio, elettronica, metalmeccanica, batterie, fotovoltaico, vetro e ceramica, trasporti, chimica: sono solo alcuni dei settori industriali italiani che non sopravvivrebbero senza accesso alle cosiddette materie prime critiche, quei materiali (34 critici e 17 strategici, per l’esattezza) che l’Ue ha messo al centro del Critical raw materials act, recentemente acquisito nella normativa italiana da uno specifico decreto legge

Lo studio La road map italiana per le materie prime critiche, commissionato dalla multiutility Iren ad Ambrosetti (Teha group) e presentato ieri a Roma documenta come le materie prime critiche non siano solo fondamentali per alimentare la transizione ecologica e digitale, ma anche per l’economia italiana così come è già oggi strutturata: contribuiscono a 690 miliardi di euro di produzione industriale del Paese, pari al 32% del Pil italiano. Un dato che è il risultato di una crescita del 51% del contributo delle materie prime critiche alla produzione industriale in Italia negli ultimi 5 anni.

Il problema però è che la domanda di materie prime critiche sta crescendo, al momento, insieme alla dipendenza dall’estero. E non solo in Italia. L’Europa, infatti, ha una grave dipendenza dall’estero, soprattutto dalla Cina che produce il 56% delle materie prime critiche importate in Ue: il gap di investimenti tra Europa e Cina è enorme e non si appresta a ridursi, dato che ammontano a 2,7 miliardi di euro gli investimenti realizzati dall’Europa per il comparto nel 2023, contro i 14,7 miliardi della Cina.

La normativa Ue ha già indicato una via per invertire la rotta, stabilendo tre parametri di riferimento per il consumo annuale di materie prime critiche nell’Ue: almeno il 10% dovrà arrivare da estrazione locale; il 40% verrà lavorato nell’Ue e il 25% proverrà da materiali riciclati.

Un precedente studio stima che l’Italia possa ricavare fino al 32% di materie prime critiche dal riciclo, anche se nella declinazione data dal decreto del Governo Meloni quest’aspetto rimane purtroppo marginale. Eppure, conferma questa nuova analisi targata Iren, che è l’economia circolare la strada più efficace da percorrere nel breve termine.

«Nei prossimi anni, lo sviluppo di filiere domestiche per la transizione energetica aumenterà il fabbisogno italiano di materie critiche prime grezze del 320% – osserva Valerio De Molli, ad Ambrosetti – Con 1,2 miliardi di euro di investimenti, l’Italia potrebbe infatti ridurre la dipendenza dall’estero per le materie prime critiche di quasi un terzo, e valorizzare quasi 6 miliardi di euro di materie prime seconde al 2040».

Nel complesso, per incrementare e sostenere la competitività industriale del Paese in questo ambito vi sono quattro strategie operative: l’esplorazione mineraria, le partnership con i Paesi africani, la raffinazione e trattamento e infine, come già evidenziato, il recupero delle materiali e utilizzo delle materie prime seconde nelle produzioni industriali.

La prima fa riferimento alla formulazione di un nuovo piano di esplorazione mineraria, che risponda a una visione integrata a livello nazionale e regionale e includa una strategia di consolidamento delle competenze minerarie e il rilascio dei titoli minerari.  Fondamentale sarà poi rafforzare le partnership internazionali e in particolare con i Paesi africani. La terza proposta riguarda poi l’individuazione delle aree strategiche di specializzazione per l’Italia nella fase di processing delle materie prime critiche, unita alla promozione di meccanismi di coordinamento a livello dell’Ue per ridurre la frammentazione.

Infine, secondo lo studio lo sviluppo dell’economia circolare e dei processi di urban mining rappresenta la soluzione a breve più efficace.  Per contribuire a questo obiettivo, una leva strategica sarà la crescita dei volumi di Raee raccolti – i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche –, il cui 70% oggi non viene gestito correttamente per la scarsa presenza di centri di raccolta fruibili e la ridotta consapevolezza dei cittadini: ad oggi il tasso di raccolta italiano è fermo al 30,24%, ben lontano dal target europeo del 65%.

«Dallo sviluppo delle materie prime critiche dipende il 32% del Pil italiano, oltre la competitività industriale e la sicurezza strategica nazionale – commenta Luca Dal Fabbro, presidente di Iren – La strada più efficace da seguire è quella dello sviluppo dell'economia circolare, attraverso l’incremento dei volumi di Raee raccolti, incentivare l’utilizzo delle materie prime seconde nelle produzioni industriali attraverso la definizione di criteri end-of-waste e di schemi incentivanti per l’utilizzo di materiali riciclati».

Sarà dunque investire sulla capacità impiantistica e la realizzazione di nuovi impianti per il recupero e il trattamento, dato che ad oggi il 90% delle componenti dei Raee da cui estrarre materie prime critiche viene esportato. In Italia, ad oggi gli impianti accreditati per il recupero e trattamento dei Raee non sono adeguati alla gestione dei volumi prodotti (solo 47 impianti su 1.071 risultano accreditati, pari al 4,3%).

Sotto questo profilo, Iren sta già portando avanti un ruolo da apripista sul territorio, toscano in particolare: un progetto impostato attorno alla creazione della piattaforma RigeneRare e concretizzato con la prossima inaugurazione di un innovativo impianto in Valdarno, il primo in Italia per il trattamento dei Raee diretto al recupero di metalli preziosi con processo idrometallurgico, e una capacità di trattamento di oltre 300 tonnellate di schede elettroniche all’anno.

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Redazione Greenreport

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