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Allevamento intensivo: chi ci guadagna?

I miti da sfatare sull’allevamento intensivo secondo CIWF
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Il rapporto “Factory Farming: Who Benefits? How a ruinous system is kept afloat” di Compassion in World Farming International (CIWF) parte dalla necessità di smentire affermazioni come «Lallevamento intensivo è necessario per sfamare il mondo» o «L’allevamento di polli e suini produce bassi livelli di gas serra» e per denunciare che «Le poche multinazionali che ruotano attorno all’allevamento intensivo diffondono falsità per legittimare il sistema intensivo, a discapito del benessere degli animali, della salute umana e di quella del pianeta».

Dal rapporto emerge che per quanto riguarda i maggiori diffusori di fake news sulla necessità e la sostenibilità degli allevamenti intensivi «Il ruolo dell’industria zootecnica è risaputo, ma ci sono altri “fornitori” dell’allevamento intensivo ad essere rimasti in larga misura nell’ombra. Si tratta di produttori di gabbie e recinti, del settore farmaceutico veterinario, del settore dei pesticidi, dei grandi commercianti di cereali, dei produttori di mangimi, del settore della genetica animale e del settore dei fertilizzanti».

Il report illustra e sfata i principali miti utilizzati dalle grandi imprese:

Mito“L’allevamento intensivo è necessario per sfamare la popolazione mondialeRealtà: Produciamo molto più cibo di quanto sia necessario per nutrire la popolazione mondiale in crescita, ma una gran parte viene persa o sprecata dopo la produzione, e quantità considerevoli di cereali commestibili per l’uomo – come grano e mais – e di soia vengono utilizzate per nutrire animali allevati, che le trasformano, in modo molto inefficiente dal punto di vista nutrizionale, in carne e latte.

Mito: “L’allevamento intensivo fornisce cibo a basso costo”. Realtà: Sebbene la carne e il latte prodotti attraverso sistemi intensivi risultino economici alla cassa del supermercato, la società paga a caro prezzo gli enormi costi derivanti dagli impatti negativi dell’allevamento intensivo sulla salute umana e sull’ambiente, tra cui il degrado del suolo e la perdita di biodiversità, l’uso eccessivo di antibiotici, le emissioni di gas serra e l’aumento del rischio di pandemie mortali.

Mito: “Gli animali allevati intensivamente, come suini e polli, producono basse emissioni di gas serra”. Realtà: Suini e polli producono elevate quantità di emissioni di gas serra, molto più elevate rispetto a quelle derivanti dalla produzione di alimenti di origine vegetale.

Ma la vera domanda alla quale vuole rispondere il rapporto è: «Ma chi è che ci guadagna?».

Per CIWF, «Sono quattro le aziende che traggono grande profitto dall’allevamento intensivo, note come ABCD: Archer Daniels Midland, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus. Si tratta dei principali commercianti di cereali al mondo e forniscono gran parte dei cereali e della soia utilizzati per nutrire gli animali allevati intensivamente. Nel 2022, queste aziende sono finite sotto i riflettori dell’opinione pubblica, quando è stato svelato che stavano realizzando profitti record in un momento in cui un numero crescente di persone soffriva la fame a causa dell’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’insicurezza alimentare, dovute principalmente al conflitto in Ucraina. Aziende come queste, e altre in tutti i 7 settori chiave, hanno un immenso potere finanziario e politico che utilizzano per influenzare i decisori politici e bloccare i cambiamenti disperatamente necessari per riformare l’agricoltura per renderla rispettosa del pianeta e lungimirante, come le riforme stabilite nella strategia Farm to Fork dell’Ue».

L’industria dei mangimi, che miscela i cereali e la soia per produrre cibo per gli animali allevati intensivamente, si rifornisce da queste multinazionali dei cereali e il rapporto ricorda che «Di tutti, questo settore è quello a registrare maggior profitto dall’allevamento intensivo, con un ricavo annuale di oltre 400 miliardi di dollari all’anno». La Fao sottolinea che l’uso dei cereali come mangime è una minaccia per la sicurezza alimentare, perché riduce le calorie e proteine alimentari disponibili per il consumo umano. Secondo l’United Nations environment programme (Unep) la quantità di cereali che si prevede di destinare agli animali allevati da qui al 2050 potrebbe essere utilizzata per nutrire più di 3,5 miliardi di persone ogni anno».

A trarre trae enormi profitti dall’allevamento intensivo è anche l’industria dei i pesticidi e dei fertilizzanti che i hanno un ruolo fondamentale nella produzione globale di cereali e soia, di cui il 40% e il 76% rispettivamente vengono usati per alimentare animali allevati.

Poi ci sono «Il settore della genetica animale fornisce agli allevamenti intensivi animali selezionati per crescere a ritmi più rapidi e produrre più carne, latticini e formaggi di quanto non farebbero naturalmente, compromettendo il loro benessere ed esponendoli a problemi di salute dolorosi e debilitanti. I produttori di gabbie e recinti condannano gli animali a una vita non degna di essere vissuta, confinandoli in spazi squallidi e minuscoli».

L'autore del rapporto,  il chief policy adviser di CIWF, Peter Stevenson, conclude: «E' necessaria un’assunzione di responsabilità per la distruzione che l’agricoltura intensiva sta causando. Non possiamo permettere che una manciata di grandi aziende continui a realizzare profitti enormi a spese degli animali, della nostra salute e della sopravvivenza stessa della vita sul nostro pianeta. Se non riduciamo il nostro consumo eccessivo di carne, pesce, latticini, formaggi e uova e non passiamo a sistemi di agricoltura rigenerativa che lavorano in armonia con la natura, il futuro stesso dell'umanità è a rischio. "Abbiamo bisogno di un accordo globale su alimentazione e allevamenti per trasformare il nostro sistema alimentare prima che sia troppo tardi, e esortiamo chiunque abbia a cuore gli animali e il futuro del nostro pianeta a firmare la nostra petizione per mettere fine all’allevamento intensivo su END.IT».

Redazione Greenreport

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