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Come coesistere con i grandi predatori. Situazioni e interazioni diverse nei Paesi ad alto e basso reddito

Nuovo studio del MUSE di Trento su complessità e sfide nelle interazioni tra esseri umani e grandi carnivori
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Lo studio  “A worldwide perspective on large carnivore attacks on humans”, pubblicato su PLOS Biology e condotto dal MUSE - Museo delle Scienze di Trento insieme a una trentina di enti di ricerca internazionali, ha raccolto e analizzato 70 anni di segnalazioni in tutto il mondo di attacchi ad esseri umani da parte di 12 specie di grandi carnivori e ha Identificato i principali fattori che determinano questi attacchi e le specie più coinvolte (felidi e canidi). E’ il primo studio globale su questo tema e ha raccolto e analizzato oltre 5000 casi di attacchi alle persone registrati tra il 1950 e il 2019. La ricerca si è concentrata sulle specie di grandi carnivori terrestri maggiormente coinvolte in questo tipo di conflitti, tra cui anche tigri, leoni, orsi e lupi, e ha considerato solamente le interazioni in cui il contatto fisico con l’animale ha portato al ferimento o alla morte della persona coinvolta.

Al MUSE ricordano che «I grandi carnivori da sempre affascinano e ispirano le società umane, ma possono allo stesso tempo costituire una minaccia per le persone che si trovano a dover condividere con loro ambiente e risorse. Seppure si tratti di eventi molto rari, gli attacchi dei grandi carnivori alle persone rappresentano una delle sfide di conservazione e coesistenza più complesse, in quanto possono influire, direttamente o indirettamente, anche sulla conservazione dei grandi carnivori stessi. Gli animali coinvolti in questi eventi, infatti, vengono spesso abbattuti o rimossi durante o dopo l’incidente. Inoltre, anche grazie all’attenzione mediatica che attirano, questi eventi possono influenzare drasticamente le attitudini delle persone nei confronti delle specie coinvolte. E’ quindi prioritario riuscire a ridurre questo tipo di incidenti e - a tal fine - risulta fondamentale acquisire conoscenze approfondite sulle dinamiche e sui fattori che possono aumentarne il rischio».

In seguito a diverse trasformazioni ambientali e socioeconomiche, in alcune aree  del mondo, inclusa l’Europa, i grandi carnivori stanno ritornando nei loro areali storici dai quali eranio stati scacciati o estinti dall’uomo. Un ritorno ha portato delle popolazioni di grandi carnivori a insediarsi in aree con habitat sono frammentati e urbanizzati, con strade, terreni agricoli, e altre attività antropiche e dove i conflitti uomo-fauna selvatica  possono essere particolarmente duri, perché le persone non sono più abituate a convivere con i grandi predatori. Invece, in altre aree del mondo le popolazioni di grandi carnivori sono in forte declino a causa dell'espansione delle popolazioni umane che distrugge, frammenta e degrada i loro habitat. «In entrambi gli scenari – fanno notare al MUSE - la stretta coesistenza che ne deriva comporta inevitabilmente un aumento delle interazioni con le comunità locali».

Il nuovo studio ha evidenziato «Interessanti differenze negli scenari e nelle frequenze in cui avvengono queste interazioni negative. Differenze legate sia alla diversa ecologia delle specie considerate, sia al contesto socioeconomico e ambientale locali. Gli attacchi avvenuti nelle aree cosiddette “ad alto reddito”, come ad esempio Europa e Nord America, si sono verificati più comunemente mentre le persone coinvolte stavano svolgendo attività ricreative, come escursionismo, campeggio o passeggiate con i cani, mentre quasi il 90% degli attacchi registrati nelle aree geografiche “a basso reddito” si è verificato durante attività di sostentamento come l'agricoltura, la pesca o il pascolo del bestiame.

La principale autrice dello studio, Giulia Bombieri del MUSE, evidenzia che «Felidi e canidi  sono risultati i gruppi di specie maggiormente coinvolti in attacchi predatori, i più letali per le persone, mentre gli attacchi da parte di orsi sono quasi sempre difensivi, per esempio nei casi in cui questi vengono inavvertitamente sorpresi a distanza ravvicinata, oppure in difesa dei cuccioli o di fonti di cibo. La maggior parte degli attacchi mortali è stata registrata nei Paesi a basso reddito, nei quali si è verificata gran parte degli attacchi predatori da parte di grossi felidi come leoni e tigri».

Secondo autrici e autori, «Notevoli differenze sono state riscontrate anche nelle circostanze e frequenze di attacchi da parte della stessa specie in aree geografiche diverse, a dimostrazione di come il contesto ambientale e socioeconomico umano siano fattori determinanti nel definire la tipologia di rapporti e interazioni tra persone e grandi carnivori».Gli approcci per ridurre questo tipo di conflitti dovrebbero quindi essere adattati non solo alle specie, ma anche al contesto socioeconomico e ambientale in cui si opera. Appare chiaro che nei Paesi ad alto reddito, dove la maggior parte delle interazioni con i grandi predatori avviene quando le persone entrano in aree frequentate dai grandi carnivori per svolgere attività ricreative e dove gli attacchi sono soprattutto una conseguenza di comportamenti inappropriati da parte delle persone, campagne di educazione rivolte a visitatori e residenti nelle aree con grandi carnivori sui comportamenti da adottare possono risultare efficaci per ridurre in maniera importante questo rischio. Al contrario, nei Paesi a basso reddito, dove la coesistenza con i grandi carnivori è per lo più involontaria e obbligata, e gli attacchi di tipo predatorio sono più frequenti, le strategie per migliorare la coesistenza tra comunità locali e grandi predatori sono sicuramente più complesse e rappresentano una sfida importante».

Redazione Greenreport

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