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Specie aliene e ondate di calore mettono in crisi la pesca italiana

Confcooperative Fedagripesca: «Attività ridotta con picchi dal 70 al 100% nelle aree più colpite»
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Dall’estate scorsa non è mai finita l’emerga legata al granchio blu che ha messo in ginocchio le produzioni di vongole veraci nel Delta del Po. È una delle tante facce che l’invasione delle specie aliene, favorita anche dall’avanzata della crisi climatica, sta portando sul settore della pesca in Italia.

A disegnare la mappa delle criticità lungo le coste italiane è Confcooperative Fedagripesca che lamenta danni alle reti, minor attività di pesca e di offerta di prodotto, portando ad «attività ridotta con picchi dal 70 al 100% nelle aree più colpite».

Nel Delta del Po i pescatori, dopo aver perso tra l’80 e il 100% del prodotto, hanno ridotto all’osso la produzione di vongole, lavorando solo in piccole aree protette con recinti e teloni per salvare la semina, il granchio distrugge meno perché c’è meno prodotto da catturare.

«E se non ci sarà un contenimento importante di questa specie aliena nei prossimi 5 anni i danni (diretti ed indiretti) prodotti dalla predazione potrebbero ammontare a 1 miliardo di euro. Ed è difficile pensare al futuro visto che per ogni vongola che viene allevata ci sono almeno 100 granchi pronti a mangiarla», sottolinea il vicepresidente di Confcooperative Fedagripesca, Paolo Tiozzo.  Ed è per questo che in quella che era la prima area di produzione in Europa per vongole veraci, con oltre 3 mila persone direttamente coinvolte per un valore alla produzione di almeno 200 milioni di euro all’anno, si attende con ansia la nomina del Commissario per il granchio blu.

I primi avvistamenti di mucillaggine ci sono stati nel nord Adriatico, ma poi il fenomeno si allargato a tutta la costa coinvolgendo i pescatori di Friuli, Veneto e Emilia Romagna ma anche quelli di Molise, Abruzzo e Puglia. Un fenomeno che si è presentato esteso sia in sospensione che sul fondo del mare con danni a tutti i sistemi di pesca. Dalla pesca artigianale alla pesca a strascico, tutti hanno lamentato danneggiamenti alle reti e difficoltà di pescare: «Già in alcuni compendi – denunciano i pescatori – si sono registrati segnali di sofferenza e morie della fauna ittica. A Goro e Porto Garibaldi, le temperature record in mare con punte che sfiorano i 30 gradi centigradi e battute di pesca sempre più scarne perché i pesci si spingono a largo, spingono i pescatori a ridurre l’attività per contenere i costi del carburante che lievitano per inseguire le prede».

Infine c’è il vermocane: parente marino dei lombrichi ma urticante come una medusa, è una specie aliena lunga dai venti centimetri fino ad arrivare ad un metro, che sta rendendo difficile la vita dei pescatori in Puglia, Calabria e Sicilia, colpendo soprattutto i mestieri artigianali e di piccola pesca visto che gli avvistamenti di questo esemplare sono entro i 25 metri di profondità e quindi abbastanza vicini alla costa.

A preoccupare è l’intensificarsi del fenomeno: una presenza mille volte superiore a quella di soli due anni fa. Ad essere minacciate sono le catture ittiche perché il vermocane si insinua nelle reti dei pescatori e divora i pesci, lasciando solo le lische. Ma anche gli attrezzi da pesca. Visto che si tratta di una specie molto urticante, i pescatori per liberare le reti spesso sono costretti a romperle. Una operazione delicata perché devono evitare che il vermocane si spezzi in più parti e finisca in acqua, visto che sono in grado di rigenerarsi anche da singole parti. Oltre il danno, quindi, anche la beffa. E anche la strada della valorizzazione gastronomica per ridurne il numero non si può percorrere perché a differenza del granchio blu, il vermocane non si può mangiare. 

Redazione Greenreport

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