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Dal Wwf una guida per acquistare pesce in modo responsabile

Pesca, a luglio abbiamo già esaurito le risorse del Mediterraneo per l’intero 2024

«Aumentando la protezione in aree chiave gli habitat marini potrebbero riprendersi, gli stock ittici essere ricostituiti»
 |  Enogastronomia moda turismo
© Claudia Amico - WWF Mediterranean

Se nei primi sei mesi dell’anno avessimo consumato solo risorse del Mediterraneo, da luglio alla fine dell’anno queste non sarebbero più disponibili e l’Europa dovrebbe ricorrere alle importazioni per sostenere la crescente richiesta dei consumatori.

Come spiega il Wwf in vista della 36esima edizione del Comitato per la pesca (Cofi) della Fao, in agenda a Roma dall’8 al 12 luglio, la domanda europea di prodotti ittici è infatti troppo alta: ogni cittadino europeo consuma in media circa 24 chili di pesce l’anno, e gli italiani superano la media con i loro 31,21 chili di pesce pro capite l’anno.

Paradossalmente, la Cofi coincide dunque con la ricorrenza del "Fish dependence day" – una sorta di analogo dell’Overshoot day scoccato in Italia il 19 maggio, ma dedicato alle sole risorse ittiche – quel momento in cui l’Europa esaurisce virtualmente l’equivalente della produzione annua interna di pesce, molluschi e crostacei. Con ben il 58% degli stock ittici sovrapescati, il Mediterraneo è il secondo mare più sovrasfruttato al mondo (contro il 37,7% degli stock ittici sovrasfruttati a livello globale).

Una domanda sempre più in aumento da parte dei consumatori, soprattutto nel periodo estivo, alimenta una pesca eccessiva. Con le specie più colpite che includono il nasello, la sardina, i gamberi (viola e rosa) e la triglia di fango.

«Acquistare pesce adulto, locale e di stagione, meglio ancora, scegliere specie poco comuni, evitando quelle più sovrasfruttate, così da bilanciare la pressione sulle risorse marine, favorendo il mantenimento della biodiversità marina e la rigenerazione degli stock ittici», spiega Giulia Prato, responsabile Mare del Wwf Italia.

Controllare l’etichetta del pesce che si vuole acquistare è fondamentale; verificare la provenienza e il metodo di cattura, e orientare la propria scelta verso stock in buone condizioni e pratiche di pesca meno impattanti, permette di muovere l’offerta del mercato verso una pesca più sostenibile. In questo contesto, risulta fondamentale accompagnare la pesca verso un percorso di sostenibilità, tracciabilità e trasparenza. Ecco perché il Wwf ha messo anche //wiahajd.emcroad.com/trk/click/@f*025j2F7ib38j2f2S1*3=0*83f9f0e7b0f8b*6,3*8efr2fbs9d3a9ffs0d1f9*f=0*542778b38321221*3,0*87f@fle3bif3bx6b3a84f*2=b*933490f7061691f00*5,2*7nbl8i2d2*1=390986f0f9e2b9f2b,6*3c8ifd2*b=993592f1061698f80,5*2l7ibd8*2=2615390283f3f9e0b,f*bk6U338LfI23bf9n3o93f*0=149-f">a disposizione dei consumatori una guida per aiutare all’acquisto del pesce.

La buona notizia infatti è che possiamo ancora recuperare un equilibrio nel Mare Nostrum: «Le evidenze scientifiche confermano come aumentando la protezione in aree chiave del Mediterraneo, gli habitat marini potrebbero riprendersi, gli stock ittici chiave essere ricostituiti e noi potremmo combattere al meglio l’impatto del cambiamento climatico – conferma Prato – Ma anche ridurre il nostro consumo di pesce soprattutto per quanto riguarda le specie più sovrasfruttate, diversificando le nostre scelte di prodotti ittici è fondamentale per contrastare la pesca eccessiva, incoraggiare la transizione verso una pesca più sostenibile e supportare la resilienza dell’ecosistema marino».

La ricerca scientifica mostra che le aree marine protette funzionano, non costituendo un ostacolo per i pescatori ma anche assicurando una più rapida ripresa degli stock ittici, e dunque la possibilità di continuare a pescare.

Sotto questo profilo l’Italia è però molto indietro: sulla carta  la copertura nazionale di superficie protetta  è di quasi 4 milioni di ettari a mare, pari all'11,2% delle acque territoriali e della Zpe (Zona di protezione ecologica) italiane: per il raggiungimento dell'obiettivo europeo del 30% al 2030 vi è dunque la necessità di includere un ulteriore 19% di superficie marina, ma l'11,2% di mare protetto italiano lo è in grandissima parte solo in teoria, visto che comprende aree come il Santuario dei mammiferi marini Pelagos dove le protezioni sono meno che minime.

Si tratta di un approccio superficiale quanto rischioso al problema, anche perché oltre alla sovra pesca anche la crisi climatica sta minacciando seriamente l’equilibrio ecologico del Mediterraneo.

Come evidenzia il Wwf, il cambiamento climatico mette a rischio ben la metà della produzione mondiale di pesce, con gravi conseguenze per le piccole comunità che vivono di pesca. Il riscaldamento degli oceani sta riducendo le popolazioni ittiche, con alcune aree tropicali che potrebbero vedere una diminuzione fino al 40% entro il 2100.

Anche nel nostro mare il cambiamento climatico sta causando effetti come: la tropicalizzazione del mare, con specie autoctone costrette a spostarsi a causa dell’aumento delle temperature e lasciare il posto alle specie invasive  (quasi 1.000 nuove specie invasive, di cui 126 specie ittiche, sono entrate nel Mediterraneo, causando riduzioni delle specie autoctone fino al 40% in alcune aree, per motivi di competizione o predazione); i  bloom di meduse, provocati da un mix di fattori tra cui l’eutrofizzazione del mare e la riduzione degli stock ittici; la diminuzione della capacità di immagazzinamento della CO2 dovuta alla riduzione delle praterie di posidonia.

Redazione Greenreport

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