Pnrr, il 2026 si avvicina e l’Italia deve effettuare ancora il 70% delle spese previste dal piano
Si avvicina il 2026, data limite per completare le opere Pnrr, e stando a quanto emerge da un’analisi dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, il ritmo che stiamo tenendo è a dir poco blando. L’Italia ha ottenuto dall’Ue più fondi di tutti gli altri Stati membri, e al 30 settembre 2024, i soldi effettivamente spesi sono stati 57,5 miliardi, pari solo al 29,6% del valore totale del Pnrr (194,4 miliardi). Il che significa che in soli due anni dovrebbero essere effettuate quasi il 70% delle spese previste dal piano. Come ricordano gli autori dell’analisi pubblicata sul sito dell’Osservatorio Cpi, al nostro Paese sono stati assegnati 71,8 miliardi di euro in sussidi e 122,6 miliardi in prestiti a lunga scadenza, che provengono dal fondo Recovery and resilience facility (Rrf), il principale fra gli strumenti del piano Next generation Eu con cui la Commissione europea ha tracciato la rotta per la ripresa economica degli Stati membri in seguito alla crisi pandemica. All’Italia è quindi stata assegnata una dotazione pari al 27% del totale, una percentuale notevolmente superiore a quella del Pil (12,3%). La ragione primaria è che molti Paesi hanno deciso di non avvalersi dei prestiti, ricordano gli autori dello studio.
Non siamo l’unico Paese che in questi anni non ha mantenuto il giusto ritmo e che ora dovrebbe accelerare al massimo l’attuazione de Pnrr. Ritardi nell’attuazione si sono verificati in tutta l’Eurozona e, segnalano gli autori dell’analisi realizzata dall’Osservatorio Cpi, sono dovuti a diversi fattori. La Banca Centrale Europea, ricordano, in una recente ricerca ha evidenziato la ridotta capacità amministrativa di diversi livelli di governo negli Stati membri, le modifiche dei piani nazionali rese necessarie dall’ondata inflattiva provocata dall’invasione russa in Ucraina e i conseguenti colli di bottiglia della produzione registrati in diverse industrie. Ora che questa fase di emendamenti si è conclusa, la Commissione europea si attende però un’accelerazione dei lavori.
I ritardi osservati nel versamento delle rate sono dovuti sia ai ritardi con cui i Paesi presentano le richieste di pagamento rispetto al cronoprogramma originale, che a rinvii dell’erogazione degli importi: ciò si verifica quando un paese ha fornito alla Commissione prove insufficienti o imprecise circa il raggiungimento degli obiettivi propedeutici alla rata successiva, allungando quindi i tempi di accertamento e versamento. Tra l’altro, oltre a ritardi nella presentazione delle richieste alcuni Paesi hanno subìto anche diversi rinvii nel versamento delle rate. È questo il caso dell’Italia, che a fronte di un ritardo contenuto nella presentazione delle richieste ha subìto notevoli ritardi nel versamento delle rate; in particolare, la richiesta della terza rata è stata inviata nel mese di dicembre 2022 e l’erogazione è avvenuta solo 3 trimestri più tardi.
Del totale dei fondi assegnati, ad oggi l’Italia ha ricevuto un prefinanziamento iniziale di 25 miliardi di euro e circa 122 miliardi attraverso sei rate. Questi si compongono di sussidi per 46,45 miliardi e di prestiti per 75,68 miliardi. Il nostro Paese dal punto di vista della spesa effettiva non è in una situazione molto diversa da quella degli altri paesi. Secondo le stime della Bce pubblicate a dicembre 2024, dei fondi ricevuti tra il 2021 e il 2023 l’Eurozona ne ha assorbiti circa il 50%. L’Italia registra un valore superiore alla media (58%, pari a 45 miliardi su 103 miliardi ricevuti fino a dicembre 2023), e superiore alla Spagna (30%) e al Portogallo (28%).
Come in conclusione evidenzia lo studio dell’Osservatorio Cpi, l’Italia è molto lontana dall’obiettivo, ma il problema si pone anche per gli altri Paesi che hanno scelto di attuare piani molto rilevanti.
Per valutare l’entità della sfida, sottolinea il report, si consideri che un Paese che ad oggi ha raggiunto in tre anni (2022-2024) il 33% dei suoi obiettivi dovrà raggiungerne più del doppio nei successivi due anni se vuole usare per intero le risorse messe a sua disposizione. Si tratterrebbe di realizzare il doppio del lavoro in due terzi del tempo, cioè sostenere tre volte lo sforzo rispetto a quanto fatto finora. Nel complesso, chiosano gli autori dell’analisi, il giudizio che si può dare è che per tutti i Paesi vi sono notevoli ritardi nell’attuazione dei rispettivi Pnrr, il che giustifica pienamente la prospettiva della Bce, secondo cui, nonostante vari colli di bottiglia siano stati superati (per esempio quelli legati al rincaro delle materie prime), rimane molto difficile ipotizzare che i fondi stanziati possano essere interamente assorbiti entro il 2026.