Il crollo demografico sta diventando un problema anche per la Cina
La Cina è scalata in seconda posizione tra i Paesi più popolosi al mondo (superata dall’India) e neanche l’anno del Drago che si è appena concluso – particolarmente propizio per le nuove nascite – riuscirà a invertire in modo sostanziale il declino demografico imboccato dal gigante asiatico.
Dopo quarant’anni di politica del “figlio unico”, dal 2015 il Governo cinese ha bruscamente invertito la rotta incoraggiando la nascita di secondi e terzi figli, ma la sterzata non sta affatto funzionando. «Nonostante le campagne martellanti, come solo il regime cinese riesce a fare – spiega su Neodemos il demografo Massimo Livi Bacci – le coppie hanno adottato un modello di bassissima riproduttività compatibile con le modeste ma esigenti condizioni di vita di una società schiacciata dalla sua rapidissima modernizzazione. Le politiche, anche quelle più dure e coercitive, possono imporre di non fare figli, o di averne solo uno o due. Ma sono poco meno che impotenti quando impongono di avere figli a chi non ne vuole, o non ne vuole uno in più».
Il triennio della pandemia Covid-19 coi suoi lockdown ha ulteriormente peggiorato la situazione, tant’è che il 2023 (ultimo anno disponibile) le nuove nascite in Cina si sono fermate a circa 9 milioni, la metà dei 18,3 venuti al mondo appena un decennio prima.
Il tasso di fecondità nel Celeste impero è caduto a 1 figlio per donna, più basso anche dal dato italiano, aggiornato dall’Istat a 1,2 (dato 2023). «I giovani sono altamente scolarizzati, vivono sempre più numerosi in contesti urbani, sono fortemente connessi col resto del mondo, e vivono ancor oggi in ristrettezze materiali, nonostante i grandi progressi dell’economia. È assai dubbio che la retorica governativa possa avere presa su di loro», osserva nel merito Livi Bacci.
Che fare dunque? «La morale è che occorre valorizzare quel che c’è. Le autorità – commenta il demografo – sembrano accettare la “nuova normalità” demografica, diffondendo la narrazione di un possibile sviluppo nel quale la qualità della popolazione sostituisce la quantità, che peraltro si annuncia in precipitoso declino».
Anche l’Italia si trova di fronte a problemi per certi versi simili, anche se dalle dimensioni e in un contesto socioeconomico molto diversi da quelli cinesi. Bankitalia stima infatti che il nostro Paese rischia di perdere il 13% del Pil già al 2040 a causa del calo demografico: per evitare questa dinamica non ci sono bacchette magiche da poter agitare, ma un complesso mix d’interventi – a sostegno dell’occupazione femminile e giovanile, dello smart working, della produttività, dell’immigrazione, favorendo una vita attiva anche per gli anziani – che possa aiutare a gestire il degiovanimento della nostra società, come rimarcato nei giorni scorsi anche nel rapporto approvato dal Cnel e curato dal demografo Alessandro Rosina.