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Incroci pericolosi: ecco come Big Oil e Big Tech traggono profitto dalla disinformazione sul clima

Buchan (Caad): «Un divieto di pubblicità sui combustibili fossili è imperativo per proteggere la salute pubblica e accelerare l'azione per il clima»
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Nel corso del 2024 molti eventi meteo estremi in tutto il mondo, compresa l’Italia, hanno avuto due cose in comune: sono stati aggravati dal cambiamento climatico in corso, ma la risposta pubblica è stata ostacolata dalla diffusione di contenuti falsi online (e non solo).

Dalle teorie complottiste sugli incendi selvaggi usati per liberare terreno per le energie rinnovabili ai post diventati virali sulle mancate “pulizie dei tombini” in occasione delle alluvioni nel nostro Paese, la diffusione della disinformazione è sempre più pericolosa. Ma non si tratta di un processo casuale, quanto guidato dalla ricerca del profitto.

È quanto documenta la coalizione Climate action against disinformation (Caad), con un nuovo rapporto intitolato “Extreme weather, extreme content”, che torna a denunciare come le aziende Big Tech insieme alle Big Oil stiano attivamente alimentando la crisi climatica con la benzina della disinformazione.

In particolare, il rapporto dimostra come le aziende di social media non siano riuscite a proteggere il pubblico dai “super-diffusori” di false narrazioni, e hanno preso milioni dalle aziende di combustibili fossili per gestire pubblicità di propaganda.

«L'industria dei combustibili fossili e i suoi alleati politici stanno facendo disinformazione sul clima – commenta Kate Cell dell'Union of concerned scientists – per mantenere i loro profitti e bloccare la popolazione mondiale in un futuro sempre più pericoloso. Così come dobbiamo agire rapidamente per ridurre le emissioni del riscaldamento globale, dobbiamo agire rapidamente per impedire alle Big Tech di consentire e trarre profitto dalla disinformazione sul clima».

Qualche esempio? Nonostante abbiano avuto anni per ripulire le loro piattaforme, le Big Tech continuano a permettere a un piccolo numero di “super-diffusori” di inquinare le loro piattaforme con affermazioni infondate che attaccano le energie rinnovabili e i veicoli elettrici. Uno di questi utenti di X/Twitter ha visto aumentare di 1750 volte i propri follower dal marzo 2023. Operazioni di disinformazione come i media Tenent, presumibilmente finanziati dalla Russia, sfruttano inoltre gli eventi meteorologici estremi per alimentare l'opposizione alle politiche climatiche e, di recente, hanno provocato minacce di violenza contro il personale di pronto intervento. Il tutto porta a danni reali sulla cittadinanza, e a succulenti profitti per i disinformatori: otto inserzionisti di combustibili fossili hanno pagato a Meta (Facebook) almeno 17,6 milioni di dollari per oltre 700 milioni di impressioni nell'ultimo anno.

«Per il terzo anno consecutivo, il Caad ha documentato milioni di dollari di pubblicità sui combustibili fossili in relazione alla Cop – spiega Sean Buchan, coordinatore dell'unità di intelligence della coalizione – Mentre il mondo si riunisce per cercare di mantenere la promessa dell'Accordo di Parigi, l'industria dei combustibili fossili inquina l'ecosistema dell'informazione per offuscare le nostre menti. Un divieto di pubblicità sui combustibili fossili è imperativo per proteggere la salute pubblica e accelerare l'azione per il clima».

A pensarla così non sono solo gli ambientalisti, dato che un appello analogo – per le piattaforme online così come per i media tradizionali – è già arrivato nei mesi scorsi dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

In Italia al momento c’è solo un’avanguardia di testate che aderisce a questi principi, quelle aderenti – greenreport compresa – alla coalizione Stampa libera per il clima promossa da Greenpeace.

Il resto del panorama mediatico è purtroppo assai carente sotto i profili messi in evidenza dal segretario generale dell’Onu. Il monitoraggio periodico condotto da Greenpeace e Osservatorio di Pavia sui principali media italiani mostra infatti nel nostro Paese le notizie a tema climatico sono in crescita, ma per diffondere narrative a contrasto della transizione ecologica e senza nominare i responsabili della crisi climatica: i combustibili fossili, che al contempo finanziano abbondantemente stampa e tv.

«Il panorama dell'informazione digitale è pericolosamente inquinato e continuerà a peggiorare – conclude nel merito il Caad –  finché non riterremo le Big Tech responsabili di aver permesso a Big Oil e ai disinformatori di diffondere contenuti falsi e dannosi». E con la stessa severità andrebbero giudicati anche i media tradizionali, dai tg ai giornali cartacei.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.