La Papua Nuova Guinea dopo il massacro per la terra e l’acqua
Mentre il mondo segue col fiato sospeso quel che potrebbe accadere in Medio Oriente dopo l’assassinio mirato e ipertecnologico a Teheran del capo di Hamas Ismail Haniyehi da parte del governo israeliano, a migliaia di chilometri di distanza, in quello che sembrano un altro mondo e un’altra epoca – ma sempre segnata dalla ferocia umana - l’United Nations country team Papua New Guinea sta assistendo circa 200 persone che hanno trovato rifugio nella città di Angoram e che sono sopravvissute al massacro in cui sono morte decine di donne e bambini in una zona remota della Papua Nuova Guinea (PNG).
Secondo quanto riferito dai sopravvissuti e dai governi locale e nazionale, in quella che sembra una guerra tribale preistorica per il possesso del territorio e di alcuni laghi (quindi acqua e pesca) combattuta a colpi di fucile, ma anche con machete e lance, tra il 16 e il 18 luglio sono state trucidate più di 50 persone nei villaggi di Tamara, Tambari e Agrumara, sul fiume Sepik. Molte delle vittime, comprese donne e bambini, sono state trovate decapitate nelle loro capanne date alle fiamme o nei dintorni dei villaggi attaccati.
Il 29 luglio, l’ufficio Onu in Papua Nuova Guinea spiegava che «Ad oggi, 88 nuclei familiari sono stati sfollati e vivono in sei centri di assistenza temporanei. Il numero totale di individui, disaggregato per sesso ed età, è ancora in fase di definizione. Le famiglie sfollate sono attualmente ospitate in sei centri di assistenza temporanei. Le necessità immediate di queste famiglie continuano a essere cibo, kit igienici per donne e bambini, articoli non alimentari come biancheria da letto e vestiti, acqua, riparo (inclusi campi e spazi a misura di bambino), protezione dell'infanzia e dalla violenza di genere e servizi di salute mentale e psicosociali, nonché istruzione».
Secondo i funzionari del governo locale, 5 autori del massacro di East Sepik sono stati arrestati, mentre almeno altri 20 sono ancora in libertà e continuano a seminare paura nella comunità.
Il coordinatore residente dell’Onu, Richard Howard, ha condannato la violenza mortale e ha ribadito il suo appello alle autorità affinché chiamino i responsabili a risponderne: «La pace è il primo prerequisito per il progresso. La violenza non è mai la risposta e non farà che esacerbare i problemi che già ci sono. Ora spetta alle autorità rendere giustizia alle vittime, riportare le parti rivali al tavolo delle trattative ed evitare ulteriori spargimenti di sangue».
Nel frattempo, l'Unicef ha ricevuto segnalazioni di 5 minori non accompagnati ad Angoram, i cui genitori sono stati uccisi o sono scomparsi e Angela Kearney, la rappresentante dell'Unicef in Papua Nuova Guinea, ha detto che «Un team specializzato è sul posto per identificare i bambini e fornire cure adeguate. Le parole non possono descrivere gli orrori a cui questi poveri bambini hanno assistito. Un supporto psicosociale avanzato è assolutamente essenziale per prevenire cicatrici durature. Altri aiuti sono in arrivo, tra cui tende per fornire riparo alle famiglie che non hanno più nulla a cui tornare da quando le loro capanne sono state bruciate e i loro mezzi di sostentamento distrutti».
L'International Organization for Migration (IOM) sta organizzando la registrazione degli sfollati interni (IDP) e coordinando le attività per la realizzazione di campi profughi, rifugi, l’arrivo di articoli non alimentari e forniture di emergenza per acqua e servizi igienici (WASH).
Il capo della missione IOM, Serhan Aktoprak, ha sottolineato che «Mentre le forze dell'ordine stanno lavorando per contenere la situazione, l'IOM si sta muovendosi per portare aiuti alle comunità colpite il più rapidamente possibile. Stiamo collaborando a stretto contatto con altre agenzie delle Nazioni Unite, nonché con partner nazionali e internazionali".
L'Humanitarian Advisory Team dell’Onu (UN HAT) si sta coordinando con le autorità locali e i partner per condurre valutazioni rapide congiunte dei bisogni. Inoltre, la ONG australiana Living Child, con il supporto dell'Unicef, sta aiutando a creare spazi a misura di bambino nel Catholic Community Center e a fornire servizi psicosociali.
Già a febbraio l’Onu aveva lanciato l’allarme per un altro attacco sugli altopiani della Papua Nuova Guinea, in cui erano morte almeno 26 persone nella provincia di Enga e Jeremy Laurence, portavoce dell’United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR) aveva dichiarato: «Esortiamo il governo della Papua Nuova Guinea ad affrontare in modo efficace la crescente violenza tribale e a impegnarsi con i leader provinciali e locali in un dialogo per raggiungere una pace duratura e il rispetto dei diritti umani nella regione degli altopiani. I conflitti tra 17 gruppi tribali sono progressivamente aumentati dalle elezioni del 2022 su una serie di questioni, tra cui dispute territoriali e rivalità tra clan. Gli scontri sono diventati sempre più mortali a causa della proliferazione di armi da fuoco e munizioni nella regione. Chiediamo al governo di garantire la consegna di tutte le armi, in particolare quelle prodotte in serie. Il governo deve adottare misure immediate per affrontare le cause profonde della violenza e lavorare per la riconciliazione tribale. Le comunità delle Highland, in particolare donne e ragazze, devono essere protette e si deve impedire che vengano ulteriormente danneggiate».
Ma il governo della poverissima – e ricchissima di materie prime e risorse naturali – Papua Nuova Guinea ha fatto poco e nulla per fernare qujesta feroce guerra tribale preistorica per la terra e il Commissario Onuper i diritti umani Volker Türk ha commentato: «Sono inorridito dalla sconvolgente esplosione di violenza mortale in Papua Nuova Guinea, apparentemente causata da una disputa sulla proprietà di terreni e laghi e sui diritti di utilizzo. Secondo quanto riportato, gli attacchi a tre villaggi nella provincia di East Sepik il 16 e 18 luglio (…) Esorto le autorità a condurre indagini rapide, imparziali e trasparenti e a garantire che i responsabili siano tenuti a risponderne. E’ inoltre fondamentale che le vittime e le loro famiglie ricevano risarcimenti, tra cui un alloggio adeguato, una protezione efficace contro ulteriori attacchi e il necessario supporto psicosociale. Invito inoltre le autorità a collaborare con le comunità colpite per affrontare le cause profonde delle controversie su terreni e laghi, impedendo così il ripetersi di ulteriori episodi di violenza».