Acque reflue, chi inquina paga: fino a 6,1 mld di euro per adeguare i depuratori italiani alla nuova direttiva Ue
A gennaio i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europei hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla proposta di revisione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, nata nel 1991; entro dicembre l’iter dovrebbe concludersi con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, e a quel punto con la revisione della direttiva Uwwtd arriveranno anche grosse novità per i gestori del servizio idrico integrato (e non solo).
Una prospettiva che è stata esplorata oggi a Firenze, in conclusione del Festival dell’acqua organizzato da Utilitalia – la federazione che unisce le imprese italiane attive nei servizi pubblici locali – in collaborazione con Publiacqua e Confservizi Cispel Toscana.
Molte i cambiamenti che bollono in pentola: ad esempio, negli agglomerati con oltre 1.000 abitanti equivalenti le acque reflue urbane dovranno essere sottoposte, prima di essere scaricate nell'ambiente, a trattamento secondario, terziario e in alcuni casi anche quaternario, in base a fattori tecnici e dimensionali; sotto il profilo energetico, inoltre, i processi di depurazione dovranno raggiungere la neutralità climatica entro il 2040; soprattutto, i produttori di prodotti farmaceutici e cosmetici che provocano l’inquinamento delle acque reflue urbane da microinquinanti dovrebbero contribuire per almeno l’80% ai costi di questo trattamento aggiuntivo, attraverso un regime di responsabilità estesa del produttore (Epr).
Secondo le stime di Utilitalia e di Fondazione Utilitatis, i costi legati all’implementazione dei sistemi avanzati di depurazione sono stimati tra un minimo di 1,6 e un massimo di 6,1 miliardi di euro.
«Per la prima volta – spiega Tania Tellini, direttore del settore Acqua di Utilitalia – la direttiva europea prevede, secondo il principio “Chi inquina paga” e la Responsabilità estesa del produttore (Epr), che l’80% dei costi legati all’abbattimento di queste sostanze vengano pagati dai produttori. Si tratta di un approccio decisamente innovativo per il settore idrico, mutuato da quanto già da tempo previsto nei rifiuti, per cui è importante comprendere come declinare al meglio l’applicazione di questa importante novità».
Per andare più a fondo nella questione, oggi al Festival è stato presentato lo studio “Progetto monitoraggio microinquinanti nelle acque reflue”, realizzato da Utilitalia e da Cnr-Irsa, dove sono stati indagati 10 microinquinanti emergenti nelle acque reflue e negli effluenti degli impianti di depurazione, analizzando 23 gestori idrici per un totale di 55 impianti di trattamento di acque reflue.
«Il nostro studio, su un tema ambientale di attualità – sottolinea Camilla Braguglia, ricercatore Cnr-Irsa – raccoglie dati riguardanti il destino, negli impianti di depurazione, di 10 microinquinanti emergenti, individuati sia dalla letteratura sia dallo studio svizzero che poi viene richiamato dalla revisione della direttiva. Grazie ad Utilitalia e alla partecipazione attiva delle aziende, contribuiamo ad aumentare le conoscenze sulla presenza, diffusione e rimozione di questi composti nelle acque di scarico (che per loro natura sono nettamente diverse dalle acque potabili che beviamo in sicurezza ogni giorno) con l’obiettivo congiunto di individuare strategie per la protezione dell’ambiente tramite la preziosa collaborazione tra il mondo della ricerca e della gestione».
Dal lavoro emerge come alcune sostanze, in particolare i composti farmaceutici, faticano ad essere abbattute secondo le percentuali richieste dalla direttiva da trattamenti convenzionali; richiedono pertanto la necessità dell’implementazione di sistemi di trattamento avanzati come ozonizzazione e/o carboni attivi. Per la copertura di questi costi, dunque, dopo l’approvazione della direttiva in corso di revisione è dunque atteso un corposo flusso di risorse dall’istituzione di sistemi di Epr dedicati.