Viaggio nella Sicilia dell’acqua scomparsa. Non per siccità ma per abbandono di dighe, reti di acquedotto, impianti, depuratori…
La figuraccia della Sicilia in balìa delle autobotti e delle improvvisazioni è ormai planetaria, e sembra un capitolo de «Il gioco degli specchi», l’intrigante racconto di Andrea Camilleri dove realtà e illusione si confondono, con riflessi ingannevoli e mezze verità.
Perché la Sicilia non è quel che sembra e nemmeno quel che si racconta, e cioè un arido avamposto africano, ma è l’isola italiana dove se l’acqua manca è per un cronico menefreghismo non solo politico, per incroci di interessi e disinteressi, per colossali sottovalutazioni di uno Stato che da decenni si milita ad ammonire sulla cronica emergenza e poi a voltarsi dall’altra parte di fronte alle nostre città più antiche con infrastrutture idriche indegne di questo nome.
Siamo sull’isola dove per l’acqua si sono combattute storiche ed epiche battaglie civili, come quelle dell’intellettuale triestino Danilo Dolci diventato il «Gandhi dell’isola», il sociologo e poeta e pacifista nonviolento che negli anni Sessanta del secolo scorso andò a vivere a Trappeto in una delle terre più povere dando inizio a proteste con digiuni e marce che portarono alla luce anche l’ombra nera delle “mafie dei pozzi”.
È l’isola di Pirandello, che oggi avrebbe scritto sull’ennesima emergenza una delle sue godibilissime novelle, ad esempio partendo da due strepitosi comunicati della Regione mandati in rete a distanza di pochi minuti uno dall’altro.
Era il marzo 2024 e il primo lancio invitava alla “massima allerta per le piogge che continueranno a lungo”, mentre il secondo a stretto giro annunciava l’inizio del “nuovo piano di razionamento e misure per mitigare la siccità”.
È la Sicilia e il suo doppio di Leonardo Sciascia che, in un suo commento al film-reportage in bianco e nero realizzato nel 1968 dal titolo forse preveggente: “La grande sete in Sicilia finirà nel 2015” girato per l’Archivio audiovisivo del “Movimento operaio e democratico”, denunciava le “mani sull’acqua” e su pozzi, dighe, acquedotti, dissalatori di un sistema affaristico in equilibrio tra criminalità mafiosa, politica, affari. Un sistema di corruzioni, collusioni e inefficienze contro il quale si battevano tanti coraggiosi, uno su tutti il giornalista Mario Francese, ammazzato nel 1979 dopo articoli di denuncia sui traffici nella costruzione della diga Garcia.
La crisi idrica nell’isola che non applica le leggi idriche
Ci vuole poco a capire che lo sviluppo dell’isola è ipotecato dall’endemica condizione emergenziale delle sue infrastrutture idriche. Oggi la Sicilia rifà il giro del mondo con l’immagine di isola assetata dal clima e con turisti in fuga, dove agricoltori e allevatori pagano fino a 250 euro un autobotte con la preziosa acqua, e il comparto agricolo e zootecnico stima perdite dal 50% al 75% nelle produzioni di grano, cereali e foraggi.
Il presidente della Regione, Renato Schifani, politico di lunghissimo corso, invoca l’Europa e paragona la sua isola all’Africa più assetata tra Marocco e Algeria. Dal 12 marzo è in vigore l’ennesima dichiarazione dello «Stato di crisi e di emergenza per l’acqua potabile fino al 31 dicembre», poi si vedrà.
La Regione, sia d’estate che in pieno inverno, avvia razionamenti, con il solito “arrangiatevi come potete”. Cosicché da Agrigento a Caltanissetta, da Enna a Messina, da Palermo a Trapani, da Catania a Siracusa l’acqua appare come un miracolo per poi scomparire, e riporta a condizioni medievali di sopravvivenza idrica, scandendo le giornate e le settimane con gli orari di arrivo ai rubinetti dettati dalla «turnazione». Ricompare, ad esempio nell’agrigentino, anche ogni 10 giorni, se va bene, per poche ore. E non a caso, l’arredo più comune che si ammira da balconi e terrazze sono contenitori e bidoni di plastica da riempire in fretta e chi non lo fa resta a secco.
L’acqua che manca è però la vergogna di una Regione che non applica le leggi nazionali da 28 anni, disinteressata alla benemerita legge Galli del 1996 che ha altrove ha risolto emergenze storiche, e tira avanti come se nulla fosse lasciando comuni e agricoltori in balìa dell’acqua dei “grossisti” che non arriva dai tubi ma dalle cisterne collocate sui camion.
È la vergogna di un’isola con scarse infrastrutture primarie come depuratori e acquedotti, nonostante i miliardi di fondi nazionali inviati dallo Stato. Mancano perché mancano aziende di ambito degne di questo nome in grado di progettare, costruire e gestire, di sostituire reti bucherellate che perdono per strada anche il 100% di preziosa acqua. Mancano le Autorità di ambito con le assemblee dei sindaci che formano i piani tariffari e di investimento e le tariffe. E se questo è l’andazzo, allora il problema non è la pioggia che oggi non cade, ma un settore vitale lasciato senza programmazione, regolazione, gestione.
Oggi, il 68% dei comuni siciliani, caso regionale unico in Europa, rileva il Blue Book di Utilitalia, ancora affida - o meglio non affida - il servizio idrico a qualche volenteroso dipendente degli uffici tecnici comunali, strutture a corto di personale con telefoni bollenti e scrivanie sommerse da richieste e pratiche ma che sopravvivono con scarso personale e scarsissimi mezzi.
La politica regionale con una trasversalità imbarazzante da tre decenni fa fallire una legislatura dopo l’altro ogni tentativo di applicazione della legge Galli per modernizzare un settore che resta in gran parte nelle mani di “Siciliacque”, la Spa al 75% di “Idrosicilia” oggi controllata da “Italgas” che ha acquisito il pacchetto azionario dalla francese “Veolia”, e al 25% nelle mani della Regione che in realtà fa da padrone. “Siciliacque”, erede “dell’Ente acquedotti siciliani”, è infatti gestita da un Cda di 5 membri con la Regione in posizione di maggioranza visto che ne designa 3, compreso il presidente.
L’acqua arriva anche ogni 14 giorni da reti fatiscenti
Da Palazzo d'Orléans, sede della Presidenza regionale, si nominano “Commissari regionali straordinari” per fronteggiare emergenze sulle quali la mappa aggiornata dell’Autorità di bacino distrettuale, anch’essa di nomina regionale, lascia pochi spazi all’immaginazione: in 5 province in ben 144 Comuni sono “depotenziati i flussi di erogazione” con “avvio di turnazioni”. Dal palermitano al trapanese al triangolo assetato tra le province di Agrigento, Enna e Caltanissetta molti comuni però saltano i “turni dell’acqua” e la risorsa tanto attesa arriva anche ogni 14 giorni!
Si accavallano storie di condutture mai realizzate o mai riparate e che buttano acqua da ogni squarcio facendola affiorare anche dall’asfalto dei centri storici come quello di Agrigento, dove oltre il 50% dell’acqua prelevata può zampillare dalle crepe stradali. La splendida città dei templi che dovrebbe risplendere per diventare “Capitale della cultura 2025” rivive una tragedia greco-antica con la probabile rinuncia dell’ambito riconoscimento a causa della mancanza di acqua. Tante prenotazioni sono state cancellate e si sgonfiano i sogni di un’annata turistica d’oro. L’acqua, del resto, qui se va bene arriva una volta a settimana dalle reti colabrodo.
Nel trapanese l’attesa fa contare anche 15 giorni di attesa a Custonaci, Buseto Palizzolo e altri comuni. La situazione è sempre drammatica sulla costa da Mazara del Vallo ad Alcamo Marina con l’acqua che per i più fortunati arriva a giorni alterni ma con situazioni limite ogni 12 giorni. A San Vito Lo Capo arrivano solo le autobotti a costi variabili da 50 fino a 250 euro a carico. E le piccole strutture alberghiere devono essere rifornite con più carichi a settimana. Ma l’emergenza spinge a prelevare acqua anche da pozzi privati e spesso senza controlli o autorizzazioni sanitarie per il consumo umano.
La Regione, come denuncia Massimo Gargano, direttore nazionale dell'associazione dei Consorzi di bonifica, per salvare la stagione turistica, penserebbe anche alla "ripresa dei prelievi idrici da pozzi contaminati da nitrati, previa la depurazione delle acque prima del loro utilizzo”.
La radiografia delle dighe
Veniamo alle dighe. Se c’è un modo furbo per evitare o ridurre le crisi idriche questo è immagazzinare tanta acqua quando piove per riutilizzarla nei periodi più secchi. Semplice. Invece, come sono messe le dighe siciliane?
La radiografia delle 26 grandi dighe gestite dalla Regione è impietosa: 3 risultano “fuori esercizio”, 5 sono sottoposte a “invaso limitato” per ragioni di sicurezza e 10 da decenni sono sempre “in attesa di collaudo”. I due terzi, insomma, presentano problemi e non invasano acqua o invasano poca acqua, e sembrano pozzanghere. Cosicché i due invasi maggiori, le dighe-lago di Lentini nel siracusano e dell’Ogliastro tra le province di Enna e di Catania, con capienza rispettivamente da 127 e 110 milioni di m3 d’acqua, in pieno inverno ne invasavano 49 e 22 milioni di m3.
Nella grande diga Rosamarina che rifornisce la provincia di Palermo e parte del capoluogo ci sono appena 8 milioni di m3 anziché 73, nella grande diga Poma di Partinico da 72,5 milioni di m3 se ne trovano solo 23. Altre 13 dighe sono poi gestite da società, soprattutto Enel, con centrali per la produzione di energia idroelettrica, con 2 grandi invasi sottoposti a limitazioni, come rileva il ministero delle infrastrutture. L’Autorità di bacino calcola l’asticella dell’acqua in tutti gli invasi a 154 milioni di m3, quando a pieno regime dovrebbero contenerne ben 708 milioni!
Un caso di autolesionismo siciliano per tutti? La grande diga Trinità, costruita anche per irrigare 8.000 ettari di coltivazioni nel trapanese tra Castelvetrano, Campobello di Mazara e Mazara del Vallo, è invece uno dei simboli della tragedia idrica. Costruita tra il 1954 e il 1959, non è mai stata collaudata con il suo lago con capacità di contenimento di un volume massimo di 20,3 milioni di m3 di acqua. Resta sottoposta a limitazioni dall’Ufficio Dighe della Regione, e il consorzio di bonifica della Sicilia occidentale che la gestisce deve periodicamente svuotarla poiché da oltre mezzo secolo qui sono in attesa di “verifiche sulla stabilità sismica”. E così l’acqua entra e scivola via.
Non manca la pioggia ma mancano le infrastrutture idriche
Ma davvero manca la pioggia in Sicilia? In periodi come questi sicuramente la media delle precipitazioni è sconfortante, ma sull’isola cadono da cielo in media annua volumi di acqua che, se conservati e ben gestiti, sarebbero perfettamente in grado di soddisfare ogni fabbisogno. Se solo gli invasi fossero in piena efficienza e capienza. Se non ci fossero reti di distribuzione così rabberciate. Se ci fosse un piano regionale per l’acqua degno di questo nome e non la distribuzione con oltre 300 autobotti di “grossisti dell’acqua”. Se ci fossero impianti e anche desalinizzatori lungo la costa, come quelli che salvano dalla grande sete aree un tempo all’sos come le isole Eolie di Lipari e Vulcano alimentate oggi da due desalinizzatori. Ma 3 impianti per dissalare acqua marina sono dismessi da una decina di anni, andrebbero modernizzati con fondi di Sviluppo e coesione per 69 milioni di euro.
Vero è che la Sicilia, tutto sommato rimasta fuori dalla grave siccità nazionale del 2022, oggi è al quinto anno consecutivo di precipitazioni sotto la media di lungo periodo e, negli ultimi mesi, in alcune aree mancano le piogge.
Ma la furbizia siciliana nella gestione dell’acqua avrebbe dovuto puntare alla creazione di condizioni infrastrutturali per i massimi accumuli di acqua nei periodi piovosi, e su condotte e impianti in grado di trasportarla verso gli utilizzi nei periodi asciutti come questo. Invece no.
Ecco la verità che viene nascosta. Quanta pioggia cade sulla Sicilia? Analizzando le precipitazioni medie regionali, troviamo il 2023 che si è chiuso con 588 mm di altezza pluviometrica – 1 millimetro di pioggia equivale come quantità a 1 litro di acqua caduto su una superficie di 1 mq –, il 22% in meno rispetto alla media degli ultimi vent’anni, come segnala il servizio agro-meteorologico regionale.
Piove certo un po’ meno, e piove certo un po’ “male”, con precipitazioni più intense e improvvisi cicloni come quello che, nel ragusano, il 9 e 10 febbraio 2023 scaricò 228,8 mm di pioggia, il 54% dell’intero anno. La progressiva tropicalizzazione del clima fa brutti scherzi e ha fatto registrare, ad esempio a maggio 2023 il 42% di piogge dell’intero 2023, il mese in cui in media storica ne cadeva appena il 3%.
Servono 1,7 miliardi di mc di acqua all’anno. Le piogge ne scaricano 15. Eccolo il paradosso. La Regione indica per l’intera Sicilia un fabbisogno medio di 1,750 miliardi mc di acqua all’anno per soddisfare tutti i consumi. Un miraggio, come gli illusionisti vogliono far credere? Macché! Nell’anno non molto piovoso del 2023, caddero 588 mm di pioggia sui 25.711 kmq dell’isola e, pur con differenze di cumulati tra aree geografiche, equivalgono complessivamente a circa 15,2 miliardi di mc d’acqua. Si tratta di una dotazione dieci volte superiore alle necessità dell’isola, poco meno del 5% dell’intera piovosità nazionale attestata sui 296 miliardi di mc!
Calcolando anche una quota di circa metà dell’acqua che evapora o si infiltra nel terreno o finisce in mare con deflussi superficiali, di acqua sull’isola ce ne sarebbe sempre in abbondanza, da scongiurare perenni emergenze che più che di acqua sono di menefreghismo e sottovalutazioni.
La Sicilia, insomma, oggi racconta la storia di un’isola dove non manca l’acqua ma mancano le infrastrutture per immagazzinarla, distribuirla, utilizzarla con efficienza e risparmio e poi depurarla. Già, perché lo Stato sta pagando 125.000 euro al giorno di sanzioni per le prime due condanne della Corte di giustizia europea per mancanza di depuratori, e circa la metà degli esborsi sono dovuti alle carenze siciliane che si scaricano su tutti i cittadini italiani. Interessa a qualcuno costruire depuratori già finanziati dallo Stato?
La Regione, che nell’ultimo ventennio ha speso 400 milioni con la giunta Musumeci, 2 miliardi con la precedente giunta Crocetta, oggi investe oltre un miliardo con la giunta Schifani inseguendo solo le emergenze. Quando invertirà la rotta per non farci vergognare dell’isola che fa acqua da tutte le parti?