Il (brutto) clima attuale e futuro dell’Africa

In Africa il cambiamento climatico minaccia sempre più la salute umana, la sicurezza alimentare e idrica e lo sviluppo socioeconomico

[27 Ottobre 2020]

Secondo il nuovo rapporto “State of the Climate in Africa 2019”, una pubblicazione multi-agenzie Onu guidata dalla World meteorological organization (Wmo) e realizzata in collaborazione con i più prestigiosi istituti meteorologici mondiali e africani, «L’aumento delle temperature e del livello del mare, il cambiamento dei modelli delle precipitazioni e condizioni meteorologiche più estreme stanno minacciando la salute e la sicurezza umana, la sicurezza alimentare e idrica e lo sviluppo socio-economico in Africa».

Il rapporto fornisce un’istantanea delle tendenze climatiche attuali e future e degli impatti sull’economia e su settori sensibili come l’agricoltura. Evidenzia gli insegnamenti da apprendere per l’azione climatica in Africa e identifica i percorsi per affrontare gap e sfide critiche.

Quello che è certo è che in Africa è urgente un’azione climatica, che occorre aumentare la consapevolezza, le capacità e gli strumenti per affrontare rischi che stanno diventando più gravi.

Presentando il rapporto, il segretario generale della Wmo, Petteri Taalas, ha detto che «Il cambiamento climatico sta avendo un impatto crescente sul continente africano, colpendo duramente i più vulnerabili e contribuendo all’insicurezza alimentare, allo sfollamento della popolazione e allo stress sulle risorse idriche. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a devastanti inondazioni, un’invasione di locuste del deserto e ora dobbiamo affrontare l’incombente spettro della siccità a causa di un evento di La Niña. Il bilancio umano ed economico è stato aggravato dalla pandemia di Covid-19»,

Il 2019 è stato tra i tre anni più caldi mai registrati in Africa, una tendenza che dovrebbe continuare. IL rapporto ricorda che «Le temperature africane negli ultimi decenni si sono riscaldate a una velocità paragonabile a quella della maggior parte degli altri continenti, e quindi un po’ più velocemente della temperatura superficiale media globale».

Le ultime previsioni decennali, che coprono il periodo 2020 – 2024, mostrano un continuo riscaldamento e una diminuzione delle precipitazioni, soprattutto nell’Africa settentrionale e meridionale, e un aumento delle precipitazioni nel Sahel.

Come riportato negli scenari medi del Fifth Assessment Report dell’Intergovernmental panel on climate change (ipcc), entro gli ultimi due decenni di questo secolo, vaste aree dell’Africa supereranno i 2° C di riscaldamento al di sopra dei livelli preindustriali, il limite previsto dall’Accordo di Parigi. Dal 1901, gran parte dell’Africa si è già riscaldata di oltre 1° C, con un aumento delle ondate di caldo e delle giornate calde. Secondo l’Ipcc, entro la fine del secolo è probabile una riduzione delle precipitazioni nel Nord Africa e nelle aree sud-occidentali del Sud Africa.

Per quanto riguarda l’innalzamento del livello del mare, in Africa c’è una significativa variabilità regionale: l’aumento del livello del mare ha raggiunto i 5 mm all’anno in diverse aree oceaniche e ha superato i 5 mm all’anno nell’Oceano Indiano sudoccidentale, dal Madagascar verso est verso e oltre Mauritius, più dell’innalzamento medio globale del livello del mare di 3-4 mm all’anno.

Anche il degrado e l’erosione delle coste rappresentano un grosso problema, soprattutto in Africa occidentale: circa il 56% delle coste  di Benin, Costa d’Avorio, Senegal e Togo si stanno erodendo e si prevede che in futuro la situazione peggiorerà. L’innalzamento del livello del mare non è attualmente il fattore principale dell’erosione, ma in futuro si combinerà con altri fattori, aggravando le conseguenze negative dei cambiamenti ambientali.

Il rapporto documenta eventi estremi ad alto impatto avvenuti nel 2019, come il ciclone tropicale Idai che è stato tra i cicloni tropicali più distruttivi mai registrati nell’emisfero meridionale e che ha provocato centinaia di vittime e centinaia di migliaia di sfollati.

Nel 2019, l’Africa meridionale ha subito un’estesa siccità, mentre il Corno d’Africa è passato dalle condizioni molto secche nel 2018 e nella maggior parte del 2019 alle inondazioni e alle frane causate dalle forti piogge alla fine del 2019. Da maggio a ottobre 2019, inondazioni hanno colpito anche il Sahel e le aree circostanti.

Secondo la Fao,  «Dal 2012, nei Paesi dell’Africa subsahariana inclini alla siccità, il numero di persone denutrite è aumentato del 45,6%.

L’agricoltura è la spina dorsale dell’economia africana e rappresenta la maggior parte dei mezzi di sussistenza in tutto il continente. L’Africa è quindi un hot spot di esposizione e vulnerabilità alla variabilità climatica e agli impatti del riscaldamento globale. Le proiezioni dell’Ipcc suggeriscono che «Gli scenari di riscaldamento rischiano di avere effetti devastanti sulla produzione agricola e sulla sicurezza alimentare.

I rischi principali per l’agricoltura includono la riduzione della produttività delle colture associata agli stress da caldo e siccità e un aumento dei danni da parassiti, danni da malattie e impatti delle inondazioni sulle infrastrutture del sistema alimentare, con conseguenti gravi effetti negativi sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza a livello regionale, nazionale e individuale».

Entro la metà di questo secolo, le principali colture di cereali coltivate in tutta l’Africa subiranno un impatto negativo, anche se con variabilità regionale e differenze tra colture. Nello scenario peggiore dei cambiamenti climatici, si prevede «una riduzione del rendimento medio del 13% in Africa occidentale e centrale, dell’11% in Nord Africa e dell’8% in Africa orientale e meridionale. Il miglio e il sorgo sono risultati essere le colture più promettenti, con una perdita di rendimento entro il 2050 di appena il 5% e l’8%, rispettivamente, grazie alla loro maggiore resistenza alle condizioni di stress termico, mentre il riso e il grano dovrebbero essere le colture più interessate, rispettivamente con una perdita di rendimento del 12% e del 21% entro il 2050.

L’aumento della temperatura e i cambiamenti nei modelli di pioggia influiscono in modo significativo anche sulla salute della popolazione in tutta l’Africa: «Temperature più calde e precipitazioni più elevate aumentano l’idoneità dell’habitat per gli insetti pungenti e la trasmissione di malattie trasmesse da vettori come la febbre dengue, la malaria e la febbre gialla – avverte il rapporto – Inoltre, nuove malattie stanno emergendo in regioni dove prima non erano presenti. Si stima che nel 2017 il 93% dei decessi globali per malaria si sia verificato in Africa. Le epidemie di malaria si verificano spesso dopo periodi di piogge insolitamente abbondanti. Inoltre, il riscaldamento negli altopiani dell’Africa orientale sta consentendo alle zanzare portatrici di malaria di sopravvivere ad altitudini più elevate».

Secondo il Fondo monetario internazionale, «Le conseguenze negative del cambiamento climatico si concentrano nelle regioni con climi relativamente caldi, dove si trova un numero sproporzionato di Paesi a basso reddito».

L’African Climate Policy Center prevede che «Il prodotto interno lordo nelle 5 sottoregioni africane subirebbe una diminuzione significativa a causa di un aumento della temperatura globale. Per scenari che vanno da un aumento di 1° C a 4° C delle temperature globali rispetto ai livelli preindustriali, si prevede che il PIL complessivo del continente diminuirà dal 2,25% al ​​12,12%. L’Africa occidentale, centrale e orientale mostra un impatto negativo maggiore rispetto all’Africa meridionale e settentrionale».

L’Agenda 2063 dell’Africa, approvata nel 2013, riconosce il cambiamento climatico come una delle principali sfide per lo sviluppo del continente.

Dal 2015, i Nationally determined contributions (NDC)  dell’Accordo di Parigi sono diventati lo strumento principale per guidare le risposte politiche ai cambiamenti climatici. 52 Paesi africani hanno presentato i loro primi NDC e sono ora in procinto di presentare gli NDC rivisti nel 2020.

LA Wmo sottolinea che «L’Africa e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo sono le regioni che devono affrontare i maggiori gap di capacità per quanto riguarda i servizi climatici. L’Africa ha anche la rete di osservazione terrestre meno sviluppata di tutti i continenti».

L’Africa ha compiuto grandi sforzi per porsi alla testa dell’agenda climatica globale. «Lo dimostrano gli altissimi livelli di ratifica dell’Accordo di Parigi: oltre il 90% – fa notare il rapporto – Molte nazioni africane si sono impegnate a passare all’energia verde in un lasso di tempo relativamente breve. L’energia pulita e l’agricoltura sono, ad esempio, le priorità in oltre il 70% degli NDC africani. Questa ambizione deve essere parte integrante della definizione delle priorità di sviluppo economico del continente. Un approccio promettente in tutto il continente per ridurre i rischi legati al clima e gli impatti di eventi estremi è stato quello di ridurre la povertà promuovendo la crescita socioeconomica, in particolare nel settore agricolo. In questo settore, che impiega il 60% della popolazione africana, le tecniche a valore aggiunto che utilizzano fonti energetiche efficienti e pulite sono in grado di ridurre la povertà da due a quattro volte più velocemente della crescita in qualsiasi altro settore. Un’efficiente microirrigazione alimentata a energia solare, ad esempio, sta aumentando i redditi a livello di azienda agricola da 5 a 10 volte, migliorando i raccolti fino al 300% e riducendo il consumo di acqua fino al 90%, compensando allo stesso tempo le emissioni di carbonio producendo fino a 250 kW di energia pulita».

Le donne costituiscono una grande percentuale dei poveri del mondo e circa la metà delle donne del mondo lavora nell’agricoltura: nei Paesi in via di sviluppo, questa cifra è del 60% e nei Paesi a basso reddito e con deficit alimentare del 70%. Quindi, evidenzia ancora il rapporto, «Ridurre la povertà mediante la crescita del settore agricolo africano è di particolare vantaggio per le donne. Può anche accadere che in alcuni casi le donne non abbiano accesso ai servizi meteorologici e climatici; è importante che tutti gli individui abbiano accesso a questi servizi al fine di migliorare la loro resilienza e capacità di adattamento individuale».

Josefa Leonel Correia Sacko, commissaria per l’economia rurale e l’agricoltura dell’Unione Africana, ha sottolinaeto che «Le informazioni sul clima basate sulla scienza sono il fondamento della costruzione della resilienza, una pietra angolare dell’adattamento ai cambiamenti climatici, nonché un’oasi per mezzi di sussistenza e sviluppo sostenibili. Il rapporto State of the Climate in Africa ha, quindi, un ruolo fondamentale da svolgere a tale riguardo, anche nell’informare le nostre azioni per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2063 per l’Africa».

Vera Songwe, segretaria esecutiva dell’United Nations economic commission for Africa, ha concluso: «La diffusione e l’utilizzo limitati dei servizi di informazione sul clima nella pianificazione e nella pratica dello sviluppo in Africa è dovuto in parte alla scarsità di informazioni sul clima affidabili e tempestive. Questo rapporto, incentrato sull’Africa, farà molto per colmare questo gap. Il contributo dell’ economic commission for Africa alla produzione di questo rapporto, attraverso l’African Climate Policy Center, cerca di evidenziare il nesso tra cambiamento climatico e sviluppo, e di sottolineare che per uscire meglio dalla pandemia di Covid-19 è necessario un approccio allo sviluppo che sia verde, sostenibile e resiliente al clima, informato dalla migliore scienza disponibile. La partecipazione di più istituzioni e agenzie alla produzione del rapporto rafforza i nostri principi e approcci di lavorare come un solo organismo».