I ghiacciai dello Stelvio sono sempre più neri e più fragili

Studio dell’Università Statale di Milano mostra l’annerimento dei ghiacciai del Parco Nazionale dello Stelvio dagli anni ‘80 fino ad oggi

[29 Luglio 2019]

«I ghiacciai del gruppo dell’Ortles-Cevedale, nel Parco Nazionale dello Stelvio sono sempre più “neri” e quindi sempre più vulnerabili al cambiamento climatico»:

A dirlo è lo studio “New evidence of glacier darkening in the Ortles-Cevedale group from Landsat observations” pubblicato su Global and Planetary Change da un team di ricercatori del Dipartimento di scienze e politiche ambientali (Esp) dell’Università degli Studi di Milano – coordinato da  Davide Fugazza  – che per la prima volta ha analizzato 40 anni di dati dei satelliti Landsat e, attraverso un algoritmo, «a partire dalle immagini satellitari, ha ottenuto il valore di albedo (o riflettività della superficie) tramite specifiche correzioni per gli effetti dell’atmosfera e della topografia».

I ricercatori milanesi spiegano che «L’albedo è un’importante proprietà della superficie di un ghiacciaio, ed indica la capacità di riflettere la radiazione solare. Una superficie chiara, come la neve fresca, ha un valore di albedo particolarmente elevato e pertanto riflette la maggior parte della radiazione solare incidente. Una superficie scura, come una roccia, ha un valore di albedo molto più basso e pertanto solo una minima parte della radiazione solare viene riflessa. Un albedo minore implica quindi un maggior assorbimento di radiazione solare da parte del ghiaccio ed una maggiore fusione, con importanti ricadute sullo stato di salute del ghiacciaio».

Per convalidare i dati satellitari, sono stati utilizzate anche le osservazioni dalla stazione meteorologica permanente dell’Università Statale installata nel 2005 sul ghiacciaio dei Forni (AWS1 Forni)  che fa parte dei progetti della World meteorogical organization (tra cui i progetti SPICE – Solid Precipitation Intercomparison Experiment e CryoNet – Global Cryosphere Watch). La ricerca è stata condotta anche grazie al contributo di Sanpellegrino Levissima e i giovani ricercatori coinvolti nello studio sono stati supportati dal Dipartimento degli affari regionali e autonomie della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del progetto GlacioVAR. Il Parco Nazionale dello Stelvio – ERSAF ha permesso l’installazione della stazione meteorologica AWS1 Forni e ospita da oltre 25 anni le ricerche della Statale di Milano nell’ambito di progetti e convenzioni, rappresentando pertanto per l’Ateneo un vero e proprio laboratorio a cielo aperto.

Analizzando l’archivio delle immagini Landsat dall’inizio degli anni ’80 fino ai giorni nostri, i ricercatori hanno scoperto che «Per la maggior parte dei ghiacciai studiati si è verificato un sensibile decremento dell’albedo. In altre parole, un annerimento del ghiacciaio».

Ma quali possono essere le cause di questo annerimento? All’Università degli Studi di Milano spiegano ancora che «Tra le principali cause c’è l’aumento della copertura detritica, proveniente dalle pareti rocciose circostanti il ghiacciaio, che si riversa su di esso a seguito dell’aumento delle temperature, che provoca maggiore instabilità dei versanti. L’aumento delle temperature causa anche la fusione precoce della neve caduta in inverno e una maggiore esposizione del ghiaccio durante l’estate. Un importante contributo all’annerimento viene però anche da polveri trasportate attraverso l’atmosfera, siano esse di origine naturale (principalmente deserti) o antropica (particolato fine proveniente dalla combustione dei motori diesel e dalle attività industriali della pianura padana e dagli incendi boschivi, il cosiddetto black carbon) oltre che dall’azione dei microrganismi come alghe e batteri».

Fugazza conclude: «Si tratta del primo studio in cui l’entità dell’annerimento viene valutata su ghiacciai dell’arco alpino in un periodo di tempo così ampio. Conoscere l’intensità di questo fenomeno permette di stimare la fusione del ghiaccio in maniera più accurata, valutare gli effetti dell’annerimento sul regresso dei ghiacciai e sviluppare modelli previsionali per ottenere indicazioni sulla sensibilità dei ghiacciai ai cambiamenti climatici».