
In missione negli abissi: alla scoperta delle montagne sommerse del Mediterraneo
Una spedizione da romanzo d’avventura quella appena conclusa da Ispra nel cuore del Mediterraneo. A bordo di una nave oceanografica e grazie a un Rov – un veicolo telecomandato in grado di operare a profondità estreme – i ricercatori hanno esplorato per la prima volta le montagne sommerse del Canale di Sicilia, mappando ambienti fino a 2.000 metri sotto il livello del mare.
Il progetto, parte del programma Pnrr “Marine Ecosystem Restoration” (Mer), ha portato alla luce ecosistemi profondi mai indagati prima, rivelando un mondo ricco di biodiversità e al tempo stesso esposto alle conseguenze delle attività umane.
«La possibilità di osservare direttamente questi ecosistemi con telecamere ad alta definizione cambia completamente la nostra prospettiva sulla vita nelle profondità marine – spiegano i ricercatori Ispra – L’emozione di scoprire habitat intatti è paragonabile a quella dei primi esploratori: pensiamo di sapere cosa attenderci, ma ogni immersione ci riserva, al contrario, sorprese inaspettate».
Per oltre sessanta giorni, l’equipaggio di Ispra ha attraversato il Canale di Sicilia per studiare undici rilievi sottomarini situati oltre le 12 miglia dalla costa italiana, molti dei quali mai esplorati prima: tra questi Alfil-Linosa III, Pantelleria Centrale, Euridice, Bannock, Empedocle e Urania.
L’obiettivo era duplice: da un lato documentare lo stato degli ecosistemi profondi, dall’altro raccogliere dati utili per la valutazione dei rischi geologici, come frane e terremoti, legati all’attività sottomarina.
Le montagne sottomarine sono veri hotspot di biodiversità: spugne giganti, coralli neri e bianchi, invertebrati rari e numerose specie ittiche si concentrano attorno a questi rilievi, che fungono da rifugio e punto di aggregazione per la fauna marina. Ma non solo: sono anche oggetto di interesse geologico, per la possibile presenza di risorse minerarie, fonti di energia geotermica e per la loro influenza sulla stabilità dei fondali marini.
I dati raccolti in questa prima fase costituiranno una base conoscitiva fondamentale per la pianificazione delle prossime campagne, che utilizzeranno metodologie sostenibili per limitare l’impatto ambientale delle attività di ricerca.
Le immagini catturate dal robot subacqueo raccontano un Mediterraneo sorprendente. Tra i 100 e i 900 metri di profondità, i ricercatori hanno osservato fitte foreste di pennatulacei – i cosiddetti “coralli piuma” o “penne di mare” – oltre a colonie di corallo rosso, coralli neri e banchi di ostriche e balani giganti. Uno dei momenti più emozionanti della spedizione è stato l’incontro con lo squalo vacca, un raro predatore di profondità che si è avvicinato al ROV, attratto dalle luci e dai suoni del veicolo.
Ma il viaggio negli abissi ha rivelato anche l’altra faccia della medaglia: a grandi profondità, in aree finora ritenute intatte, sono stati rinvenuti rifiuti marini e reti da pesca abbandonate – le cosiddette “reti fantasma”. La loro presenza, pur meno diffusa rispetto alle zone costiere, conferma come l’impatto antropico arrivi anche nei luoghi più remoti.
Le informazioni raccolte saranno preziose per indirizzare le politiche di tutela marina, in linea con gli obiettivi della Strategia europea per la biodiversità al 2030. Tra questi, la proposta di creare nuove aree marine protette nei pressi dei rilievi sottomarini più fragili e ricchi di vita.
La spedizione nel Canale di Sicilia rappresenta solo la prima tappa di un programma più ampio. Le prossime campagne partiranno dal Golfo di Napoli e si concentreranno sulle profondità del Mar Tirreno e del Mar Ligure. L’obiettivo resta quello di far emergere, letteralmente, un patrimonio ancora poco conosciuto, ma cruciale per la salute degli ecosistemi marini.
Con l’aiuto della tecnologia, l’obiettivo è quello di restituire al Mediterraneo la centralità che merita: non solo come culla di biodiversità, ma come laboratorio naturale per la scienza e la sostenibilità.
