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Sogni lucidi, una finestra sulla coscienza che possiamo imparare ad aprire: come? Lo spiega uno studio italiano

Intervista a Leila Salvesen, ricercatrice nel team del laboratorio per lo studio del Sonno della plasticità e della coscienza (SPACE) diretto da Giulio Bernardi presso la Scuola IMT di Lucca
 |  Scienza e tecnologie

Ogni notte, quando un essere umano s’addormenta, precipita in un oceano d’inconsapevolezza per poi misteriosamente ritrovarsi di nuovo in sé al risveglio. La sua mente attraversa ore di buio, di cui sappiamo ancora troppo poco. Ma anche nel sonno più profondo – e non solo nelle fasi cosiddette REM (dall’inglese per “movimenti oculari rapidi”) – si affacciano continuamente isole di coscienza: i sogni. Che cosa rappresentano?

Si tratta di una domanda che ci portiamo appresso da millenni, di fronte alla quale oggi la scienza propone sostanzialmente tre ipotesi. I sogni potrebbero essere qualcosa di totalmente casuale, frutto di riattivazioni di diverse aree del cervello che avvengono senza un criterio preciso. Tali riattivazioni potrebbero rappresentare i correlati neurali di esperienze bizzarre senza significato alcuno. Seconda ipotesi, i sogni potrebbero essere l’epifenomeno di una funzione cerebrale, come il riprocessamento d’informazioni incamerate nella nostra memoria, che genera storie all’interno della nostra testa. Infine, i sogni potrebbero avere invece una loro funzione propria, quella di realtà virtuale dove poter sperimentare le esperienze più diverse senza correre rischi, permettendoci così di continuare a imparare anche mentre dormiamo.

È nell’ambito di questa terza ipotesi che si muove uno dei fenomeni onirici più misteriosi, nonché tra i più promettenti indagare scientificamente il regno di Morfeo: il sogno lucido, ovvero uno stato di consapevolezza in cui il sognatore si rende conto di sognare direttamente mentre questo accade. Tale stato, tipico in particolare del sonno REM, sembra dipendere dal fatto che la corteccia prefrontale (in genere inattiva durante il sonno REM) torni ad accendersi. Si tratta di un fenomeno noto sin dall’antichità – ne scrive anche Aristotele, all’interno del trattato Sui sogni – e di cui circa la metà della popolazione mondiale ha fatto esperienza almeno una volta nella vita.

I sogni lucidi spontanei sono però un’esperienza rara, che li rende difficili da indagare in laboratorio, ma ci sono tecniche e tecnologie in grado di favorirne l’induzione. Si aprono così possibilità inedite per la neuroscienza dei sogni – e più in generale della coscienza – come anche per nuove terapie (dal trattamento degli incubi ai sintomi dello stress post-traumatico), fino a rendere accessibili attività creative e ricreative uniche attraverso la cosiddetta “onironautica”.

Tutte possibilità che dipendono però dalla capacità d’indurre sogni lucidi, in modo relativamente affidabile. È possibile? È questa la grande domanda cui ha cercato di rispondere il nuovo studio Highly effective verified lucid dream induction using combined cognitive-sensory training and wearable EEG: a multi-centre study, sviluppato al momento in pre-print.

Chi scrive ha partecipato alla ricerca come volontario, poi scartato ai fini dello studio: ho scoperto che non è così semplice rilassarsi fino ad addormentarsi con degli elettrodi in faccia, nelle pur confortevoli stanze del laboratorio del sonno. In compenso, nella settimana di esercizi preparatori al test sono effettivamente riuscito a sperimentare un sogno lucido, ma contavano solo quelli rilevabili in laboratorio. Sono però 60 – 20 per ognuno dei laboratori coinvolti nella ricerca – i volontari che sono riusciti a completare con successo le due sessioni di sonno mattutino. Alcuni di loro sono riusciti anche a comunicare il proprio stato di lucidità in sogno in diretta, attraverso un segnale concordato col ricercatore prima di addormentarsi (ovvero muovere due volte i propri occhi da sinistra a destra mantenendo gli occhi chiusi, sfruttando il fatto che gli occhi non sono paralizzati durante il sonno REM).

Il pre-print si concentra sui dati raccolti in Italia e Paesi Bassi. A breve saranno aggiunti quelli provenienti dal Canada. Ne abbiamo parlato con Leila Salvesen, ricercatrice nel team del laboratorio per lo studio del Sonno della plasticità e della coscienza (SPACE) diretto da Giulio Bernardi presso la Scuola IMT di Lucca.

Intervista

Dopo una settimana di diario onirico, sui partecipanti allo studio è stata testata l’efficacia di due diversi approcci nell’induzione dei sogni lucidi: la tecnica SSILD (Senses-initiated lucid dreaming) e la stimolazione TLR (Targeted lucidity reactivation). In cosa consistono?

«La tecnica SSILD è un metodo di induzione della lucidità che consiste nel dirigere consapevolmente l'attenzione verso le percezioni sensoriali, focalizzandosi ripetutamente su ciascuno dei sensi. La TLR, invece, è una tecnica che prevede l’associazione di segnali sensoriali esterni (come suoni, luci o vibrazioni) a un metodo di induzione della lucidità, come l’SSILD. Questi segnali vengono poi riproposti durante il sonno, tipicamente nella fase REM, per riattivare lo stato mentale lucido appreso durante l’allenamento, facilitando così l’esperienza di lucidità nei sogni».

Qual è l’efficacia rilevata nell’induzione e nella stabilità del sogno lucido seguendo i due approcci, presi singolarmente o combinati tra loro?

«Considerando il campione italiano di questo studio multicentrico, 12 dei 20 partecipanti - ognuno dei quali ha partecipato a due sessioni - hanno sperimentato almeno un sogno lucido in laboratorio. Di questi, 9 sono riusciti a verificarlo oggettivamente attraverso la realizzazione di movimenti oculari predefiniti. Analizzando i risultati in base alla condizione sperimentale, sono stati osservati 7 casi di sogni lucidi verificati nelle sessioni con SSILD combinata a TLR, e 3 casi nelle sessioni con la sola SSILD. I sogni lucidi verificati si sono manifestati nel 35% delle sessioni con SSILD combinata a TLR e nel 15% delle sessioni con la sola SSILD. Questa differenza è risultata statisticamente significativa, evidenziando un vantaggio nell'utilizzo della combinazione di SSILD e TLR per indurre e favorire la lucidità nei sogni».

Quali sono i limiti di questo studio? Ci saranno nuove fasi di ricerca?

«Osserviamo alti tassi di induzione di sogni lucidi anche nella condizione di controllo senza TLR, con alcune differenze tra laboratori. Perciò, studi futuri dovrebbero tentare di isolare l’effetto dei segnali sensoriali sull’allenamento SSILD, ma anche il possibile impatto di variabili culturali o genetiche. I prossimi passi di questa ricerca includono l'aggregazione dei dati dei tre laboratori e il lancio di una versione “home-based” dello studio. Quest’ultima permetterà ai partecipanti di svolgere la procedura nel loro ambiente abituale, ovvero nelle loro camere da letto».

Crede che quella del sogno lucido potrà mai diventare un’esperienza accessibile alle masse, grazie alla ricerca scientifica?

«Stiamo lavorando in questa direzione, poiché uno degli obiettivi del nostro studio è validare una tecnica di induzione in una popolazione diversificata, originaria di diversi paesi, che non includa solo sognatori lucidi esperti. Questo è particolarmente importante, dato che il sogno lucido ha dimostrato di avere un potenziale terapeutico, risultando efficace nel trattamento del disturbo da incubi e dei sintomi correlati al disturbo post-traumatico da stress. Ne consegue che trovare un metodo per indurlo sistematicamente sarebbe di grande utilità».

In sogno lucido sperimentiamo una realtà che può essere vivida e indistinguibile da quella della veglia, creata interamente nel nostro cervello. Il che solleva domande anche sulla natura di ciò che percepiamo da svegli: si tratta in entrambi i casi di allucinazioni controllate?

«Tutte le nostre percezioni sono elaborate dal cervello e, in un certo senso, si basano sugli stessi meccanismi di attivazione cerebrale. Infatti, gli stati allucinatori che si verificano, ad esempio, in disturbi psichiatrici come la schizofrenia, sono stati spesso paragonati allo stato onirico. La differenza fondamentale sta nel ruolo di stimoli esterni, prevalente nella percezione, e interni, prevalente nei sogni o nelle allucinazioni, nonché nella nostra consapevolezza della natura di queste percezioni e nella capacità di riconoscerne le origini».

In che modo la ricerca sui sogni lucidi può aiutarci a fare luce sul mistero della coscienza?

«I sogni sono spesso definiti come esperienze coscienti durante il sonno, e i sogni lucidi rappresentano una forma particolare di sogno oggettivamente verificabile attraverso una comunicazione bidirezionale in tempo reale tra il sognatore e un osservatore esterno. In questo senso, il sogno lucido può essere considerato un approccio valido per lo studio empirico dei determinanti della coscienza, grazie alla possibilità, per il sognatore, di segnalare in tempo reale ciò che accade nella sua mente durante il sonno».

Uno dei più promettenti filoni di ricerca sulla natura della coscienza passa dal rinnovato interesse scientifico verso gli psichedelici, come nel caso dell’ipotesi sul cervello entropico avanzata da Robin Carhart-Harris. Pensa che sogni lucidi e psichedelici possano avere un terreno di ricerca comune su cui fare ricerca?

«Assolutamente. Credo che entrambi esplorino i confini e i determinanti delle esperienze coscienti, e sebbene l’approccio sia diverso, l’obiettivo rimane comprendere come il cervello crei e moduli le caratteristiche delle nostre esperienze soggettive. Questo è valido anche considerando le loro potenziali applicazioni, poiché sia il sogno lucido che gli psichedelici sono oggetto di studio per usi terapeutici in contesti clinici. Penso, quindi, che ci sia molto da guadagnare nello sviluppo della ricerca in questi campi, sia a livello teorico che pratico».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.