Scoperto in Calabria il Vallo di Spartaco. Ma l’hanno trovato gli americani o gli italiani?
Paolo Visona dell’università del Kentucky ha rivelato un'entusiasmante scoperta fatta nella foresta di Dossone della Melia, in Aspromonte, nella Calabria centro-meridionale. Come spiega l’Archeological Institute of America, «Visona ha guidato un piccolo team che ha identificato un muro di pietra e un terrapieno che si estende per oltre 2,7 km. Il muro, originariamente accompagnato da un profondo fossato caratteristico di un sistema difensivo romano», che successivamente è stato identificato come parte delle strutture costruite dal generale romano Marco Licinio Crasso per contenere la rivolta degli schiavi guidati da Spartaco.
Visona ha raccontato che la scoperta è stata resa possibile da un’informazione arrivatagli da un gruppo locale di ambientalisti che erano a conoscenza dell'esistenza del muro ma erano perplessi su cosa potesse essere. Il team ha esaminato il muro e il fossato utilizzando il Ground-Penetrating Radar, LIDAR, magnetometria e campionamento del nucleo del suolo.
Visona ritiene che Spartaco abbia attaccato il muro nel tentativo per liberarsi dalla trappola che Crasso aveva costruito per lui: «La scoperta di numerose armi di ferro rotte, tra cui impugnature di spade, grandi lame curve, punte di giavellotto, una punta di lancia e altri detriti metallici, indicano che sul sito si è svolta una battaglia».
Il team di Visona, un gruppo multidisciplinare di esperti che comprendeva George Crothers, antropologo e geofisico dell’università del Kentucky; Margo Crothers della Washington University di Saint Louis e James Jansson, dell'Archeological Institute of America e membro fondatore della Foundation for Calabrian Archaeology, ha collaborato efficacemente per realizzare questa importante scoperta.
In un comunicato ufficiale del ministero della cultura il contributo dei ricercatori statunitensi “scompare”: «Un articolato programma di ricerche condotto dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia, in collaborazione con il Parco Nazionale dell’Aspromonte, ha consentito la “riscoperta” di una struttura muraria che attraversa per quasi 3 chilometri i boschi del Dossone della Melia, superando ripidi dislivelli, un pianoro e, nel tratto conclusivo, anche un torrente. Il rinvenimento di armi romane, databili con certezza all’epoca tardo-repubblicana, rende plausibile l’identificazione della struttura con il muro realizzato dal console Licinio Crasso nel 72 a.C. per intrappolare i ribelli guidati da Spartaco e per impedire loro l’accesso a ogni rifornimento. A detta dello storico greco Plutarco, “in poco tempo” i Romani scavarono una fortificazione “sull'istmo da mare a mare”, lunga 330 stadi e larga e profonda 15 piedi e affiancata da un muro “di mirabile altezza e solidità”. La parabola di Spartaco si concluse nel Bruzio. Sconfitto per due volte da Crasso e dopo aver tentato senza successo di attraversare lo Stretto di Messina e portare la rivolta anche in Sicilia, Spartaco e il suo esercito furono costretti a rifugiarsi tra le montagne calabresi dove vennero nuovamente sconfitti e dove il gladiatore trace trovò la morte in battaglia. Le attività di indagine compiute nel sito hanno già consentito il rinvenimento di numerosi oggetti metallici inquadrabili tra il II e il I secolo a.C., tra cui alcune lame ricurve di ferro, una punta di lancia, due esemplari di pilum, un particolare tipo di giavellotto utilizzato dall'esercito romano nei combattimenti a breve distanza. Sono stati ritrovati, inoltre, un pomolo forse pertinente a una spada e un'impugnatura d'arma da taglio. Le ricerche proseguiranno: quella che finora è una ipotesi di lavoro potrà trovare fondamento in seguito alla esecuzione di più ampie e approfondite indagini di scavo già programmate dalla Soprintendenza di concerto con gli organi centrali del Ministero».
Il Ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, ha commentato: «I ritrovamenti e le relative ricerche che le strutture centrali e quelle periferiche del Ministero della Cultura stanno portando avanti in Calabria dimostrano ancora una volta quanto ci sia da scoprire e come sia vasto il nostro patrimonio culturale. Un giacimento di arte e di sedimenti storici unico al mondo, concentrato soprattutto nel Meridione, che spazia lungo i millenni e che può rappresentare un’occasione di crescita culturale e di consapevolezza della nostra storia e identità ma anche di sviluppo economico e sociale. Con grande determinazione, il Ministero continuerà in questa azione di ricerca e di valorizzazione di quanto scoperto».
il direttore generale archeologia belle arti e paesaggio, Luigi La Rocca, ha concluso: «Sono pochi i casi in cui l’indagine archeologica riesce a fornire elementi tali da consentire l’immediata identificazione di quanto rinvenuto con siti o addirittura specifici monumenti citati dalle fonti antiche. Più spesso questa costituisce occasione di nuove conoscenze, consente aggiornamenti e nuove letture, spinge alla costruzione di nuove ipotesi e di diverse interpretazioni di contesti già noti. È il caso della possente struttura muraria situata in prossimità del Passo di Cancelo, all’interno del territorio del comune di Ciminà (Rc), già nota da tempo agli escursionisti che percorrono i sentieri dell’Aspromonte, di cui ora si può proporre l’identificazione con il muro di sbarramento “da mare a mare”, dallo Ionio al Tirreno, fatto costruire da Marco Licinio Crasso nel 72 a.C. per impedire a Spartaco di procurarsi i rifornimenti necessari per sopravvivere al rigido inverno negli altopiani calabresi sui quali i ribelli, non essendo riusciti a passare in Sicilia, dovettero acquartierarsi. Ciò grazie alla costante attività di ricerca e tutela degli uffici periferici del Ministro e alla luce dei risultati di una breve ma accurata indagine condotta dalla Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, che ha consentito il rinvenimento, in particolare, di un consistente gruppo di armi tra cui una punta di lancia e due esemplari di pilum, ovvero della parte finale dei giavellotti in dotazione alle legioni di Roma databili tra entro il I sec. a.C. Si tratta di un’ipotesi che potrà trovare risposte e conferme in seguito all’ampliamento delle indagini archeologiche che la Soprintendenza potrà condurre grazie al sostegno del Ministro e delle strutture centrali del Ministero della Cultura».