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Gli antichi europei avevano la pelle nera

Studio dell’università di Ferrara: fino a 3000 anni fa la pigmentazione dell’Homo sapiens in Eurasia era scura
 |  Scienza e tecnologie

Occhi, capelli e pelle chiari si sono probabilmente evoluti più volte quando l'Homo sapiens si è disperso dall'Africa. Nelle aree con minore radiazione UV, gli alleli di pigmentazione chiara sono aumentati in frequenza a causa del loro vantaggio adattivo e di altri fattori contingenti come migrazione e deriva. Lo studio “Inference of human pigmentation from ancient DNA by genotype likelihood”, pubblicato su BioRxiv in peer review - prima di essere pubblicato prossimamenmtre su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) - da Silvia Perretti, Maria Teresa Vizzari, Patrícia Santos, Enrico Tassani, Andrea Benazzo, Silvia Ghirotto e Guido Barbujani del dipartimento di scienze della vita e biotecnologie dell’università di Ferrara, ha analizzato 348 genomi antichi dell'Eurasia, descrivendo come il colore della pelle, degli occhi e dei capelli si è evoluto negli ultimi 45.000 anni e ne è en merso che «Il passaggio verso pigmentazioni più chiare si è rivelato quasi lineare nel tempo e nello spazio, e più lento del previsto, con metà degli individui che mostravano colori della pelle scuri o intermedi ben oltre l'età del rame e del ferro».

I ricercatori dell’UniFe hanno anche osservato «Un picco di pigmentazione chiara degli occhi nel Mesolitico e un cambiamento accelerato durante la diffusione degli agricoltori neolitici nell'Eurasia occidentale, sebbene anche i processi localizzati di flusso genico e mescolanza, o la loro mancanza, abbiano svolto un ruolo significativo». Insomma, fino a 3000 anni fa praticamente tutti gli europei avevano la pelle scura e probabilmente i fondatori di Roma Romolo e Remo oggi sarebbero scambiati per immigrati subsahariani.

Il rivoluzionario studio è frutto di un lavoro scientifico avviato dalla genetista spagnola Gloria María González Fortes e da Barbujani, poi proseguito con il dottorato della Peretti, principale autrice del nuovo studio. Intervistato da La Nuova Ferrara, Barbujani ha spiegato che «Il nostro punto di partenza è stato che la pelle umana 6 milioni di anni fa probabilmente era bianca perché le prime popolazioni che vivevano in Africa erano coperte di pelo, come gli scimpanzé. La fitta peluria serviva per proteggersi dalla luce del sole che rischiava di degradare il folato, molecola deputata alla produzione di nuove cellule e fondamentale soprattutto in gravidanza, quindi essenziale per la sopravvivenza della specie. Quando abbiamo iniziato a perdere il pelo, la pelle è divenuta necessariamente più scura, sempre per proteggere i folati e sviluppare un sistema immunitario che ci permettesse di vivere più a lungo. E’ così che dovevano essere i primi Homo sapiens 200mila anni fa in Africa. Quando poi 50mila anni fa sono iniziate le migrazioni verso Nord, le prime popolazioni europee sono state necessariamente di pelle scura».

Gli europei moderni hanno la pelle chiara perché sono meno esposti alla luce solare r quindi devono facilitare la cattura dei raggi UVB che stimolano la produzione di vitamina D. Anche la dieta dieta dei contadini del Neolitico di origine anatolica, basata più sui vegetali che sulla carne, ha com ntribuito a c schiarire la nostra epidermide. Ma quanto tempo ci hanno messo gli europei a cambiare colore? In termini evolutivi pochissimo, risponde Barbujani: «Se all’epoca ci fossero state le attuali politiche migratorie europee saremmo ancora tutti con la pelle scura. Solo dall’Età del Bronzo cominciano a essere frequenti individui di pelle più chiara, che iniziano a prevalere con l’Età del Ferro. Nel momento in cui si colloca la leggendaria fondazione di Roma, ancora una parte significativa della popolazione europea aveva la pelle scura».

Una brutta notizia per i razzisti di ogni tipo e per chi in Italia faceva e fa risalire la “purezza della razza” all’antica Roma. Per Barbujani questo studio non dovrebbe avere mplicazioni politiche, «A meno che non ci sia un suprematista bianco. In quel caso certe idee ricorrenti sulla razza europea andranno un po’ riviste, anche perché si può propugnare ogni tipo di ideologia, ma l’evidenza scientifica è questa, c’è poco da fare».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.