Skip to main content

Dove vanno a finire le giovani tartarughe marine durante gli anni perduti

Nuove conoscenze sulla fase iniziale della vita delle tartarughe marine possono favorire la loro salvaguardia
 |  Natura e biodiversità

Lo studio “New insights on sea turtle behaviour during the ‘lost years’”, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B dalle biologhe Katrina Phillips e Katherine Mansfield dell’University of Central Florida (UCF) e da Nathan Putman di LGL Ecological Research Associates ha cercato di risolvere il mister oche circonda i primi anni di vita delle tartarughe marine analizzando gli spostamenti di dispersione dei giovani c di 4 specie giovani di tartarughe marine, scoprendo che durante la prima fase della loro vita, nota come "anni perduti", potrebbero essere nuotatrici attive, piuttosto che vagabonde passive.

All’UCF fanno notare che «Questi risultati mettono in discussione le ipotesi esistenti e forniscono dati importanti per valutare i rischi derivanti dall'attività umana e orientare gli sforzi di conservazione». Lo studio, finanziato in gran parte dal programma Florida RESTORE Act Centers of Excellence, rappresenta il più grande dataset di tracciamento satellitare del comportamento delle tartarughe marine giovani catturate in natura nel Golfo del Messico – ribattezzato d’America da Donald Trump - durante questa fase della vita, coprendo il periodo che va dal 2011 al 2022.

La Phillips spiega che «Una delle principali scoperte è dove si trovano queste tartarughe marine e dove vanno in questa fase della vita, perché non ne sapevamo molto. Comprendere questi modelli di movimento tra le giovani tartarughe marine aiuterà a guidare gli sforzi di conservazione per proteggere gli habitat critici per queste specie». E’ noto che, dopo la schiusa, le tartarughe marine lasciano i loro nidi sulla terraferma ed entrare in mare, dove trascorrono i loro primi anni. Questo passaggio dall'habitat terrestre a quello oceanico segna una transizione critica nel loro ciclo di vita verso una fase di vita che è stata poco studiata.

Secondo la Mansfield, direttrice dell'UCF Marine Turtle Research Group, «Stiamo ancora imparando a conoscere questa fase della vita, che è più complessa di quanto si pensi. Non sappiamo cosa mangiano, né qual è la loro salute, né se e quando si associano alle alghe galleggianti chiamate sargassI che forniscono una certa protezione». Il team di ricercatori ha taggato 131 giovani tartarughe marine (94 tartarughe verdi, 28 tartarughe di Kemp, 5 tartarughe Caretta caretta e 4 tartarughe embricate) e ne ha tracciato gli spostamenti utilizzando terminali alimentati a energia solare e dotati di satellite. Questi spostamenti sono stati confrontati con quelli dei drifter oceanografici di superficie, oggetti galleggianti utilizzati per studiare come i movimenti delle tartarughe marine siano influenzati dalle correnti oceaniche.

I ricercatori ritengono che «Le giovani tartarughe marine nuotano al largo come comportamento adattivo per evitare predatori come uccelli, squali e altri pesci, che sono più abbondanti vicino alla riva. Le loro piccole dimensioni le rendono particolarmente vulnerabili, quindi le acque al largo possono fornire un rifugio più sicuro». La Phillips evidenzia che «Una delle ipotesi di più lunga data è che le giovani tartarughe marine rimangano molto al largo. I ricercatori chiamano questa fase “oceanica”, che significa fuori dalla piattaforma continentale in acque più profonde di 200 metri. Tuttavia, quel che abbiamo scoperto è che le tartarughe in questa fase di vita attraversano la piattaforma continentale verso le zone neritiche molto più di quanto ci aspettassimo». La zona neritica è la parte del mare più vicina alla costa, caratterizzata da acque ricche di nutrienti e un'alta concentrazione di vita marina.

La Phillips sottolinea che «Le tartarughe marine sono state trovate mentre attraversavano acque meno profonde e più vicine alla riva, ma non sembrava che stessero passando alla fase di vita successiva, in cui solitamente si spostano in habitat poco profondi e si nutrono del fondale. Invece, le tartarughe sembravano avvicinarsi alla riva, poi si giravano per evitarla. Le tartarughe non si comportano come particelle passive che vanno alla deriva con le correnti, ma possono nuotare attivamente e controllare la loro posizione, allora i modelli di movimento esistenti potrebbero prendere in considerazione entrambi i fattori [passivo e attivo] per correggere gli errori nelle proiezioni».

Le ipotesi finora esistenti sulla fase iniziale della vita della maggior parte delle specie di tartarughe marine suggerivano che vivessero esclusivamente in ambienti oceanici, si spostassero passivamente con le correnti oceaniche e in genere non tornassero al loro habitat precedente una volta passate a uno nuovo. Ma queste ipotesi mancano di ricerche sul reale comportamento dei movimenti di questi rettili marini.

La Mansfield aggiunge che «Storicamente, tutte le nostre informazioni su questa fase giovanile della vita sono state limitate ad avvistamenti opportunistici di questi piccoli animali difficili da vedere da barche di passaggio, al lavoro di monitoraggio delle schiuse nelle prime 24 ore dopo aver lasciato le spiagge di nidificazione o agli studi di laboratorio».
I lavori precedenti si sono concentrati sul Nord Atlantico e sulle tartarughe Caretta caretta, una specie che nidifica comunemente sulla costa orientale degli Stati Uniti e la più comune anche nel Mediterraneo.

La Phillips pensa che «E’ importante ottenere dati da luoghi diversi e mettere insieme il puzzle per ottenere un quadro più ampio di cosa sta succedendo. I ricercatori che monitoravano questa specie hanno scoperto che scoprivano che i giovani si tenevano al largo. Ma ora che le tartarughe vengono monitorate da più luoghi, stiamo scoprendo che ci sono più sfumature su cosa succede. Ad esempio, abbiamo scoperto che le Carette rimangono lontane dalla piattaforma continentale situata sulla costa occidentale della Florida».
La Mansfield sostiene che «Il monitoraggio delle tartarughe marine può essere costoso, richiedere molta manodopera e che la tecnologia ha dei limiti. E’ davvero difficile seguire e tracciare manualmente nel tempo una piccola tartaruga. Devi rifornire una barca di ricercatori che abbiano uno stomaco forte per andare nell'oceano. Storicamente, non c’era la tecnologia per mettere un tag su una tartaruga e usare i satelliti per essere in grado di tracciare da remoto dove andavano. I tag erano alimentati a batteria e grandi come un mattone».
Prima di lavorare all’UCF, la Mansfield aveva scoperto un metodo per taggare in modo sicuro e tracciare in modo efficace le piccole tartarughe, grazie a una tecnologia più affidabile, che ha avuto un ruolo nella conduzione del nuovo studio e nel raggiungimento dei suoi risultati. Inoltre, la partnership con Inwater Research Group ha contribuito a catturare e tracciare le tartarughe marine più piccole.

Questa ricerca sugli spostamenti delle tartarughe marine durante gli “anni perduti” fornisce dati ai conservazionisti per valutare e gestire i rischi derivanti dall’attività umana e la Mansfield, ricorda che «La fuoriuscita di petrolio della Deepwater Horizon nel 2010 è stata un po' la storia delle origini di questo progetto. Se ci fosse un'altra fuoriuscita di petrolio, dovremmo sapere se questi animali [saranno] di passaggio in un'area, bloccati lì a causa delle correnti, o se finiranno da qualche altra parte».

I dati di questo studio stanno già guidando gli sforzi di conservazione, compresa una proposta per la designazione di habitat critico ai sensi dell'Endangered Species Act per le tartarughe marine verdi che integrerebbe i precedenti dati di tracciamento condotti dalla Mansfield, che hanno portato all’istituzione di un habitat critico per le tartarughe Cretta caretta: la sargassum algae nursery.

Mansfield e Phillips dicono che «Se supponiamo che questi animali siano esclusivamente oceanici, allora è possibile che non li stiamo proteggendo completamente o che non si stiano prendendo le misure di cui hanno bisogno per la loro eventuale ripresa». La Mansfield conclude: «Se le tartarughe marine si trovano sulla piattaforma continentale, suggeriamo di rinominare questa fase della vita “fase di dispersione” per tenere conto del loro comportamento. Questa è una sfumatura importante nella loro life history e la nuova terminologia riflette una migliore comprensione del comportamento delle tartarughe marine, rivelando di più su questi anni perduti».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.