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In 27 anni solo lo 0,1% del Sin di Taranto è stato bonificato: il popolo inquinato chiede ecogiustizia

Prosegue la campagna di Acli, Agesci, Arci, Azione cattolica italiana, Legambiente e Libera, con un Patto di comunità in 5 punti
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Il Sito d’interesse nazionale (Sin) per le bonifiche di Taranto, individuato con la legge 426 del 9/12/1998, è ancora al palo: negli ultimi 27 anni solo lo 0,1% degli originari 4.383 ettari di superfice perimetrati a terra è stato bonificato, mentre si continua a morire a causa dell’inquinamento.

«Uno dei simboli di quanto non si è fatto è il Mar Piccolo per il quale il Ministero dell'Ambiente aveva prescritto la messa in sicurezza di emergenza nel 2005, ma per il quale ad oggi non risulta essere stato effettuato nessun importante intervento di risanamento ambientale». A denunciare il mancato risanamento del territorio sono Acli, Agesci, Arci, Azione cattolica italiana, Legambiente e Libera che oggi, con la campagna nazionale “Ecogiustizia: in nome del popolo inquinato” dedicata alle mancate bonifiche in Italia, arrivano in Puglia a Taranto per la seconda tappa, dopo quella dedicata all’amianto di Casale Monferrato.

In seguito alla riperimetrazione approvata nel dicembre 2024, il Sin di Taranto ha oggi una estensione complessiva di 11.161 ettari, di cui 6.872 a mare e 4.289 a terra. Comprende il polo industriale (con attive industrie siderurgiche e petrolifere), principale fonte di inquinamento (con impatti su ambiente, salute, paesaggio, quadro socio-economico), l’area a mare antistante l’area industriale, l’Arsenale militare, il Mar Piccolo con la vecchia base navale militare, la Salina Grande, alcune discariche e cave dismesse.

Gli inquinanti maggiormente presenti sono IPA, mercurio, zinco, rame, piombo, arsenico, nichel, cadmio, manganese, ferro, alluminio, cianuri, cromo esavalente, tricloroetano, tetracloroetilene, cromo, solfati, selenio, diossine, furani e PCB che hanno determinato un contesto emergenziale.

L'area dell'ex Ilva inclusa nel Sin è di circa 1.000 ha e comprende sia aree impegnate dallo stabilimento siderurgico che le cosiddette “aree esterne”, direttamente seguite dai Commissari straordinari di Ilva in a.s., la cui bonifica – grazie alle consistenti risorse rivenienti dai fondi sequestrati alla famiglia Riva (il cosiddetto “patrimonio destinato”) – procede, sia pure con lentezza, ma senza un rapporto diretto con la comunità locale.  Non è esclusa la possibilità che i fondi (cui sono stati sottratte alcune centinaia di milioni di euro, destinandoli ad Acciaierie d’Italia in AS) non saranno sufficienti per realizzare tutti i progetti in corso.

«Per creare buona occupazione uscendo dalla monocultura dell’industria pesante, Taranto ha bisogno di un progetto ambizioso di sviluppo territoriale - dichiarano le associazioni - che si muova lungo quattro assi: liberare il territorio dai veleni del passato e del presente; decarbonizzare le produzioni inquinanti; favorire attività ecocompatibili e innovazione tecnologica, energetica, ambientale e sociale; investire su formazione, università e ricerca».

Cinque le priorità di intervento indicate dalle associazioni al centro del patto di comunità sulle bonifiche, che sarà presentato oggi pomeriggio al quartiere Tamburi alla presenza del Commissario straordinario per le bonifiche di Taranto, Vito Felice Uricchio.

Un patto con cui associazioni e cittadini chiedono alle istituzioni che si proceda con urgenza a: la bonifica del Mar Piccolo, la bonifica sia delle cosiddette “aree escluse”, di diretta pertinenza dei Commissari di Ilva in AS, sia di quelle occupate dalle attività produttive in capo ad Acciaierie d’Italia in AS, il completamento delle indagini sulle aree incluse nel perimetro Sin e la rapida conclusione delle conferenze dei servizi tuttora aperte, lo sblocco dei fondi Cis già stanziati e destinati alle bonifiche di Taranto; l’assegnazione al Commissario straordinario alle bonifiche di Taranto di uno staff stabile costituito da personalità di alto profilo scientifico ed etico.

Più in generale, quella delle mancate bonifiche nei Sin è un’eterna emergenza lungo tutto lo Stivale, anche se sappiamo già da anni cosa sarebbe necessario fare. Secondo un’ormai datata stima di Confindustria, un investimento di 10 miliardi di euro nelle bonifiche dei Sin potrebbe creare 200mila nuovi posti di lavoro. Lo Stato, da parte sua, rientrerebbe di circa 4,7 miliardi di euro attraverso maggiori entrate fiscali e contributi sociali. I dati sono noti, manca però la volontà politica per trasformarli in cantieri.

Redazione Greenreport

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