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Non c'è tratta del necessario efficientamento delle forze armate verso un vero esercito europeo

Con RearmEu la Commissione Ue punta a investire più sulle armi che sul Clean industrial deal

Proposto un fondo comune da 150 miliardi di euro e lo scorporo dal Patto di stabilità per le spese in difesa. Perché non anche per quelle su rinnovabili ed economia circolare?
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«Siamo in un’era di riarmo». Così la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha presentato oggi RearmEu, l’iniziativa – che dovrà ora passare al vaglio degli Stati membri – pensata per far fronte al rapido disimpegno che gli Usa di Donald Trump stanno portando avanti sulla difesa militare dei propri alleati. Il primo nodo da affrontare è quello dell’Ucraina, ovviamente, ma l’obiettivo generale è di conquistare una maggiore autonomia strategica sul fronte della difesa.

«L'Europa – sintetizza nel merito von der Leyen – è pronta ad aumentare massicciamente la sua spesa per la difesa. Sia per rispondere all'urgenza a breve termine di agire e sostenere l'Ucraina, sia per affrontare la necessità a lungo termine di assumersi una responsabilità molto maggiore per la nostra sicurezza europea».

La proposta RearmEu si caratterizza di cinque pilastri e «potrebbe mobilitare circa 800 miliardi di euro per un'Europa sicura e resiliente», con due proposte a spiccare sulle altre. La prima è quella di permettere agli Stati membri di aumentare i propri investimenti in difesa attingendo al deficit pubblico, senza che queste risorse vadano a intaccare i limiti di spesa imposti dal Patto di stabilità e crescita, che impone di non superare il 3% nel rapporto tra deficit e Pil e il 60% nel rapporto tra debito e Pil: l’Italia ad esempio sfora entrambi i parametri – con deficit al 3,4% e debito al 139,1% –, ma potrebbe aumentare le spese in difesa senza temere ammonimenti dall’Ue. Il problema è che si tratta comunque di risorse a debito, da dover ripagare. Per von der Leyen «se gli Stati membri aumentassero le loro spese per la difesa dell'1,5% del Pil in media, ciò potrebbe creare uno spazio fiscale di circa 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni». Questo per l’Italia significherebbe raddoppiare l’attuale spesa in difesa, stanziando ogni anno qualcosa come circa 35 miliardi di euro: un’intera legge di Bilancio, ovvero uno sforzo difficilmente immaginabile.

La seconda proposta è quella di creare un nuovo strumento di finanziamento Ue con una potenza di fuoco da 150 miliardi di euro, in grado di prestare risorse agli Stati membri (solo) per investimenti in difesa.  «Aiuterà gli Stati membri a mettere in comune la domanda e ad acquistare insieme – spiega von der Leyen – Naturalmente, con questa attrezzatura, gli Stati membri possono aumentare notevolmente il loro sostegno all'Ucraina. Quindi, attrezzatura militare immediata per l'Ucraina. Questo approccio di approvvigionamento congiunto ridurrà anche i costi, ridurrà la frammentazione, aumenterà l'interoperabilità e rafforzerà la nostra base industriale di difesa».

Non è ancora chiaro quali sarebbero le fonti di finanziamento per arrivare ai 150 mld di euro annunciati dalla presidente, ma è già chiaro che si tratta del 50% in più rispetto ai 100 mld di euro promessi dalla stessa von der Leyen a fine febbraio per la decarbonizzazione (e l’innovazione tecnologica) delle industrie europee.

Di fronte al disimpegno militare dello storico alleato statunitense, e di fronte alle pressioni della Russia, è chiaro che l’Ue non possa esimersi oggi dall’investire di più in difesa. Ma in primo luogo dovrebbe farlo meglio. Già oggi la spesa militare degli Stati membri e dei Paesi Nato europei eccede quella russa del 56%, ma è il mancato coordinamento militare tra i vari Stati il primo ostacolo per usare al meglio questa potenza di fuoco: in primo luogo sarebbe dunque necessario integrare le forze armate già presenti nell’indirizzo di una difesa realmente europea, un approccio che resta ad oggi fuori dall'inquadramento del RearmEu presentato da von der Leyen.

Inoltre, mentre vanno saldandosi gli interessi politici tra Usa, Arabia saudita e Russia – dei player in grado di determinare l’andamento mondiale dei flussi e prezzi dei combustibili fossili – non è meno urgente accelerare sul fronte della transizione ecologica, per permettere una reale autonomia strategica del Vecchio continente grazie a fonti rinnovabili ed economia circolare. Sotto questo profilo, risulta dunque incomprensibile la scelta di dedicare più risorse alla difesa rispetto alla decarbonizzazione; soprattutto, se è lecito scorporare gli investimenti in difesa dal Patto di stabilità, perché non permettere lo stesso per gli investimenti verdi? Quesiti sui quali le forze politiche presenti nell’Europarlamento, a partire da quelle verdi e progressiste, dovrebbero chiedere di conto alla Commissione.

Redazione Greenreport

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