Un anno di (in)sostenibilità in Italia, resta l’ambiguità di fondo sulla transizione ecologica
Temperature da record, siccità, alluvioni, negazionismo climatico, sindromi Nimby e Nimby contro gli impianti rinnovabili, fantasmi del passato – dall’energia nucleare al ponte sullo Stretto di Messina – che ritornano. Da qualsiasi angolazione lo si voglia osservare, il 2024 che sta per chiudersi è stato un anno nel segno della (in)sostenibilità, come ben riassume il collega Matteo Parlato col servizio per Rai News 24 che rilanciamo in pagina.
Che la si guardi con speranza o con ostilità, la transizione ecologica rappresenta ormai uno dei principali trend – a livello nazionale e internazionale – a influenzare l’andamento della nostra vita. Ma dato che non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare, una scelta di campo resta cruciale.
In Italia c’è ancora un’ambiguità di fondo nel dibattito sulla transizione ecologica – spiega Francesco Saraceno, economista che insegna macroeconomia internazionale ed europea a Sciences Po e alla Luiss – Molti, troppi direi, pensano ancora che possa essere fatta solo imponendo un costo alla società: è la famosa tesi del bagno di sangue, che abbiamo sentito ripetere tante volte nel dibattito pubblico. Onestamente, questa è una grande sciocchezza. I dati e le evidenze empiriche ci mostrano che, al contrario, la transizione ecologica può essere un motore di crescita. Il rischio è che se noi non prendiamo questo treno, passerà per altri, e saranno loro ad avere crescita e produttività; noi avremo comunque le auto elettriche che circoleranno sulle nostre strade, solo che non saranno italiane ma cinesi o americane. Il problema dunque non è tanto domandarci se la transizione ecologica si fa, ma chi la fa e se noi come Italia vogliamo rassegnarci a diventare un luna park per il resto del mondo che viene qui a fare il turista».