Manovra: transizione, lavoro, rischi naturali, verso un via libera che ci porta nella direzione sbagliata
Incassata la fiducia e il via libera alla Camera, la manovra è arrivata al Senato dove si prevede l’approvazione definitiva per il 28 dicembre. Il testo verrà esaminato in commissione Bilancio per approdare poi in Aula venerdì 27, ma tutto è già deciso e i senatori della maggioranza lo faranno passare così com’è, dicendo sì a una finanziaria tutt’altro che all’altezza rispetto alle sfide della transizione e della sostenibilità, che taglia già per il 2025 oltre 400 milioni di euro ai Comuni, costringendo già più di un sindaco a rivedere le spese per le misure contro il rischio idrogeologico, che come denunciano le forze di opposizione fa segnare il minimo storico per investimenti destinati alla sanità, ignora le esigenze infrastrutturali del Mezzogiorno ma destina 15 miliardi per il Ponte sullo Stretto, 1,4 miliardi in più di quelli preventivati nella precedente legge di bilancio e tanti quanti sono destinati al taglio al cuneo fiscale, e questo dopo aver detto no all’introduzione del salario minimo di 9 euro l’ora perché sarebbe costato troppo e facendo finta di non sapere che il problema del cosiddetto “lavoro povero” e della crisi occupazionale, in Italia, sta raggiungendo dimensioni allarmanti che saranno aggravate, piuttosto che risolte, da questa manovra.
Dopo che già l’Istat ha fornito una fotografia tutt’altro che rassicurante del nostro Paese dal punto di vista della crescita e degli investimenti (aumento del Pil dimezzato allo 0,5% nel 2024 e tasso di aumento degli investimenti a quota zero dal 2025) ci ha pensato la Cgil a gettar luce sulla situazione del mercato del lavoro e delle crisi aziendali. Giusto mentre i deputati della destra votavano sì a questa legge di bilancio, il sindacato non si è limitato a esprimere un giudizio fortemente negativo su quest’insieme di misure che, è stato sottolineato dal segretario confederale Christian Ferrari, non fanno affatto il bene del Paese: «Non si intravede un solo provvedimento in grado di invertire il declino economico del Paese e la crescita anemica del Pil. Anzi, i tagli lineari alla spesa pubblica e agli investimenti peggioreranno la situazione, comprimendo ancor di più la domanda interna e impedendo di mettere in campo una politica industriale all’altezza delle sfide cruciali che abbiamo di fronte: la transizione digitale, energetica ed ecologica del nostro sistema produttivo». La Cgil, in contemporanea con il primo via libera alla manovra da parte di uno dei due rami del Parlamento, ha anche diffuso un rapporto che mostra i danni provocati dalle ricette economiche del governo Meloni durante questo anno che si sta per chiudere. «Nel corso del 2024 sono enormemente aumentati i tavoli presso l’unità di crisi al ministero delle Imprese e del Made in Italy», viene sottolineato dal sindacato. «Sono 105.974 i lavoratori coinvolti da crisi industriali per i quali sono ad oggi aperti confronti al Mimit. A gennaio erano 58.026. A questi si aggiungono 12.336 addetti di piccole e medie aziende che hanno perso il lavoro, vertenze che non sono neppure arrivate alle istituzioni». Questo, spiega la Cgil, è il dato censito nel diario della crisi di Collettiva.it. «Complessivamente si tratta di 118.310 lavoratori e lavoratrici. I settori maggiormente coinvolti sono l’auto e la sua filiera, la chimica di base, il sistema moda, l’industria della carta, l’energia (phase out delle centrali a carbone)».
E se la manovra impatta, in negativo, in più di un senso rispetto a tutto ciò, in particolare sul tema della transizione energetica la Cgil fa presente che il governo dovrebbe agire in modo totalmente opposto rispetto all’impostazione data a questa manovra, perché questo «scenario sconfortante» rischia di essere aggravato a causa delle trasformazioni in atto. «Le numerose vertenze aperte nel 2024 parlano di una incapacità totale del pubblico di indirizzare le politiche industriali in settori strategici e rilevanti per il Paese – sottolinea la Cgil – Il sistema delle imprese non è in grado, da solo, di competere e di rispondere alle sfide delle grandi transizioni, verde e digitale, che da potenziale volano per l’economia rischiano di trasformarsi in un’ulteriore occasione di impoverimento per il nostro sistema produttivo e industriale, con la conseguente crescita della precarietà lavorativa».
Il problema, sottolinea il sindacato, non è la transizione in sé, ma la mancanza di una guida e di un adeguato sostegno della politica e delle istituzioni in merito a questi processi. Da qui la necessità di invertire la rotta rispetto a quanto previsto da questa manovra e da qui la proposta lanciata dalla Cgil: «Le trasformazioni in atto nell’industria e nei mercati impongono politiche pubbliche di reindustrializzazione del Paese, politiche di tutela sostenute da un ammortizzatore dedicato alle crisi e politiche occupazionali che reimpieghino i lavoratori espulsi dai processi produttivi delle aziende in crisi, attraverso la loro riqualificazione professionale, in attività compatibili con la transizione. E, ove ciò non sia possibile, in progetti e piani di reimpiego a sostegno della collettività, in settori messi sempre più a dura prova nella crisi climatica e ambientale che stiamo attraversando: messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, messa a norma del patrimonio immobiliare pubblico in chiave antisismica, tutela dell’edilizia residenziale pubblica, manutenzione straordinaria delle città».