Le disuguaglianze globali spiegate con una ciambella. E c’è poco da stare allegri
Da alcuni anni sta guadagnando popolarità l’«economia della ciambella» (Doughnut Economics), proposta dall’economista Kate Raworth. Questo modello visivo combina due elementi fondamentali. Da un lato, propone di garantire in ogni paese livelli minimi di benessere socioeconomico. Dall’altro, si basa sugli studi dello Stockholm Resilience Centre, che hanno individuato dei «limiti planetari». Questi limiti rappresentano soglie critiche di alcuni indicatori ambientali che, se superati, rischiano di compromettere la capacità del pianeta di autoregolarsi, con gravi conseguenze per il benessere umano.
Il modello della ciambella definisce così uno «spazio giusto e sicuro» in cui ogni paese dovrebbe collocarsi: tra il minimo necessario per il benessere sociale e il massimo compatibile con la sostenibilità ambientale. La proposta non è soltanto teorica: attraverso il Doughnut Economics Action Lab (https://doughnuteconomics.org/), si promuovono azioni dal basso per mettere in pratica le idee del libro di Raworth.
Una parte cruciale dell’«economia della ciambella» riguarda anche la sua misurazione empirica. Gli studi pubblicati finora suggeriscono che nessun paese, tra quelli per cui sono disponibili dati, viva entro questo spazio giusto e sicuro. I paesi ricchi eccedono i limiti planetari, mentre quelli poveri non riescono a garantire i livelli minimi di benessere. Tuttavia, queste valutazioni si sono basate su criteri molto rigidi, che richiedevano il rispetto simultaneo di tutte le soglie.
Un nuovo studio, pubblicato nel numero di dicembre 2024 della rivista scientifica Ecological Indicators e intitolato “Living in the ‘doughnut’: Reconsidering the boundaries via composite indicators”, esplora cosa accade se si adottano criteri più permissivi. In particolare, valuta se Paesi vicini alle soglie possano essere considerati «all’interno della ciambella».
I risultati dello studio, frutto di una collaborazione tra Gianluca Gucciardi (Università Milano Bicocca) e Tommaso Luzzati (Università di Pisa), mostrano però che, anche con una metrica meno rigida, la situazione non cambia: non solo nessun paese vive entro lo spazio giusto e sicuro, ma nemmeno vi si avvicina.
Lo studio è disponibile ad accesso libero al seguente indirizzo:
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1470160X24013219