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Il Consiglio dell'Ue ha approvato il regolamento sul lavoro forzato

Vietata l’importazione o l’esportazione di prodotti ottenuti ricorrendo al lavoro forzato
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In tutto il mondo, circa 27,6 milioni di persone lavorano in condizioni di lavoro forzato, in molti settori e in ogni continente. La maggior parte del lavoro forzato avviene nel settore privato, mentre in alcuni casi è imposto da regimi autoritari. Il 14 settembre 2022 la Commissione europea ha proposto un regolamento che vieta nell'Ue i prodotti ottenuti ricorrendo al lavoro forzato. Il 26 gennaio 2024 il Consiglio europeo ha adottato la sua posizione negoziale. I due colegislatori (Consiglio e Parlamento) hanno raggiunto un accordo provvisorio il 5 marzo 2024.
Oggi, i Consiglio europeo ha tagliato il traguardo dell’ultima tappa del processo decisionale e ha adottato un regolamento che vieta «L'immissione e la messa a disposizione sul mercato dell'Unione — o l'esportazione dal mercato dell'Unione — di prodotti ottenuti ricorrendo al lavoro forzato». Dopo la firma da parte della presidente del Parlamento europeo e del presidente del Consiglio, il regolamento sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea ed entrerà in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. Si applicherà tre anni dopo la data di entrata in vigore.
il Consiglio Ue spiega che «Il regolamento crea il quadro necessario su cui fondare un'azione legale mirata a contrastare i prodotti ottenuti con il lavoro forzato sul mercato interno. La Commissione creerà una banca dati delle zone o dei prodotti a rischio di lavoro forzato per sostenere il lavoro delle autorità competenti volto a valutare possibili violazioni del regolamento. Sulla base di una valutazione dei possibili rischi, la Commissione (in caso di ricorso al lavoro forzato al di fuori dell'Ue) o le autorità degli Stati membri (in caso di ricorso al lavoro forzato nel loro territorio) possono avviare un'indagine. Le autorità degli Stati membri dovrebbero condividere informazioni con altri Stati membri qualora sospettino violazioni del regolamento in altre parti dell'Unione europea, o condividere informazioni con la Commissione, qualora sospettino il ricorso al lavoro forzato in un paese terzo. La decisione finale (ossia divieto, ritiro e smaltimento di un prodotto ottenuto ricorrendo al lavoro forzato) sarà presa dall'autorità che ha diretto l'indagine. La decisione adottata da un'autorità nazionale si applicherà in tutti gli altri Stati membri sulla base del principio del riconoscimento reciproco».
Le indagini dell' Environmental Justice Foundation (EJF) sul lavoro forzato nelle filiere di pesca e di fornitura globali hanno ripetutamente portato alla luce gravi casi di sfruttamento, tra cui abusi fisici, trattenute salariali e condizioni di lavoro pericolose per la vita. Ad esempio, l’indagine sulla flotta peschereccia cinese di altura che opera nell'Oceano Indiano sud-occidentale ha rivelato spaventose realtà di lavoro forzato, con membri dell'equipaggio sottoposti a minacce e intimidazioni, condizioni di lavoro abusive e violenza fisica. Questi abusi sottolineano l'urgente necessità di una solida attuazione e applicazione delle nuove norme europee per impedire che i prodotti ittici legati al lavoro forzato entrino nei mercati dell'Ue.
Il CEO e fondatore di Environmental Justice Foundation (EJF), Steve Trent, conclude: «Oggi, gli Stati membri hanno dimostrato la loro determinazione a opporsi a una delle più gravi violazioni della dignità umana. I consumatori meritano la garanzia che i prodotti che acquistano non siano macchiati da abusi e sfruttamento. Tuttavia, approvare questo regolamento è solo il primo passo. La vera prova sta nella rapidità e nell'ambizione con cui viene implementato. La mancata azione decisa, anche attraverso l'assegnazione di risorse sufficienti per l'attuazione di divieti sui prodotti, significherebbe una continua impunità per le aziende sfruttatrici».

Redazione Greenreport

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