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Cittadinanza, mons. Perego: «La politica riconosca e interpreti con strumenti non pregiudiziali i cambiamenti in atto»

L’estero è il nuovo ascensore sociale: oltre il 10% degli italiani vive fuori confine e la maggior parte sono giovani

Il quadro delineato dalla Fondazione Migrantes: dal 2006 la presenza dei connazionali iscritti all’Aire è praticamente raddoppiata (+97,5%) arrivando a oltre 6,1 milioni di persone
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L’ascensore sociale? Da una trentina d’anni, in Italia, è spento, bloccato. Fuori servizio. E allora che fa chi magari è nato nel seminterrato ma non vuole rimanere lì per sempre? O chi è nato qualche gradino più su ma aspira ai piani alti? Trasloca, cambia aria, insomma se ne va. Ed è proprio questo che sempre più numerosi giovani connazionali stanno facendo. Il fenomeno emerge in tutta chiarezza dalla XIX edizione del Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, in cui si evidenzia che il saldo migratorio del nostro Paese è nuovamente e decisamente negativo dopo il rallentamento per la pandemia (-52.334 nel 2023). E questo, viene sottolineato nel corposo documento presentato ieri a Roma, mentre si fa sempre più evidente uno «scollamento tra tale realtà e l’azione politica, che non sa interpretare il modo in cui la mobilità umana sta già di fatto mutando profondamente il concetto di cittadinanza».

Il rapporto segnala innanzitutto che dall’Italia partono sempre più persone, tanto che dal 2006 la presenza dei connazionali all’estero è praticamente raddoppiata (+97,5%) arrivando a oltre 6,1 milioni di cittadini iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire). A iscriversi negli ultimi dieci anni con la sola motivazione di espatrio sono state 1.179.525 persone, di cui la maggior parte sono giovani tra i 18 e i 34 anni (circa 471 mila) o giovani adulti (poco più di 290 mila). Oltre 228 mila sono i minori, si segnala nella presentazione del rapporto,  a significare che sempre più italiani partono con la famiglia o “mettono su famiglia” all’estero, mentre circa 30 mila sono gli over 65. «A tali partenze, che non hanno solo una motivazione professionale, non corrispondono però altrettanti “ritorni” ma, piuttosto, una desertificazione dei territori. L’estero ha sostituito l’ascensore sociale bloccatosi negli anni Novanta», è la conclusione del rapporto.

La Sicilia si conferma nel 2024 la regione con la comunità di iscritti all’Aire più numerosa (+826 mila), seguita dalla Lombardia (+641 mila) e dal Veneto (+563 mila), si legge nel report. Il 45,8% degli iscritti totali è di origine meridionale (oltre 2,8 milioni, di cui 956 mila isolani). Oltre 2,3 milioni sono, invece, del Settentrione (il 19% sia per il Nord-Est che per il Nord-Ovest), mentre oltre 966 mila sono gli iscritti del Centro Italia (15,7%). I rientri sono ben lontani dal bilanciare le nuove partenze e inoltre cambia l’età media di chi si trasferisce in Italia dall’estero: «Nel 2023 e nel 2024 – si legge nel rapporto – l’incidenza percentuale della fascia degli over 40 ha continuato a salire, con un trend che si è rafforzato nel 2024. La fascia dei giovanissimi 20-30 anni, dopo essere cresciuta nel 2023, diminuisce nel 2024, ma il calo è soprattutto concentrato nella fascia 30-40 anni, che per la prima volta in assoluto scende sotto al 50% (47%). Un fenomeno non positivo». Il motivo di questo giudizio? Nel report viene spiegato così: «Il ridimensionamento delle agevolazioni dal 2024 impatta prevalentemente sui più giovani, ai quali non conviene più trasferirsi sacrificando retribuzioni medie più elevate e prospettive di carriera, e sulle famiglie con figli minori (la fascia 30-40), che hanno visto azzerare il potenziamento delle agevolazioni legate al radicamento e alla natalità. In quest’ottica, emerge uno degli effetti negativi della nuova legge: scoraggiare paradossalmente l’ingresso di soggetti giovani e con figli, proprio mentre il Paese è alle prese (da anni) con sfide quali la denatalità e l’inverno demografico».

Un altro dato che deve far riflettere è che dal 2020 sono circa 652 mila i connazionali qui residenti in meno, e mentre continua la crescita di chi ha deciso di vivere fuori dei confini nazionali (+11,8% sempre dal 2020), si legge nel rapporto, si capisce «quanto potente sia la ripercussione dell’attuale emigrazione sui territori già provati da criticità, quali lo spopolamento e la depressione economica». Il problema è che mentre nel dibattito politico si discute prevalentemente in termini di contrapposizione tra «esodi» e «invasioni» di immigrazione straniera in Italia, «non si pone adeguatamente l’accento sulla mobilità interna»: «Mediamente, infatti, su circa 2 milioni di trasferimenti annuali complessivi, circa tre quarti riguardano movimenti tra Comuni italiani. In tutto ciò, dal 2014 gli abitanti delle cosiddette aree interne sono diminuiti del 5% che, in valore assoluto, significa 700 mila unità. Scuole, bar, filiali di banche, attività commerciali chiudono generando nuovi esodi». Così, mentre «anche la città inizia a rifiutare i giovani» tra «affitti molto alti e costo della vita proibitivo che allontanano le risorse giovani e appena laureate, spingendole lontano, nel mentre non ci si accorge di una immigrazione stabile e strutturale persino conveniente per affrontare sia i problemi demografici che quelli economici». 

Facendo riferimento a una recente indagine Istat dal titolo “Bambini e ragazzi. Anno 2023. Nuove generazioni sempre più digitali e multiculturali”, la Fondazione Migrantes sottolinea che «tra i ragazzi non italiani dagli 11 ai 19 anni ben l’85,2% si sentono italiani pur non essendo riconosciuti tali. Essere italiani significa, in prima battuta, “essere nati in Italia” (54,0% per gli italiani e 45,7% per i ragazzi di altra cittadinanza) e, al secondo posto per entrambi, “rispettare le leggi e le tradizioni italiane”. Dall’altro lato, in un mondo totalmente cambiato dove l’acquisizione della cittadinanza è diventata materia ideologica, con una legge che risale al 1992, c’è la situazione degli italodiscendenti che fanno richiesta per ius sanguinis e diventano vittime di un mercato del malaffare per la vendita di cittadinanze».

Passando dalle fredde percentuali alle immagini partorite da un poeta, nel rapporto compaiono due espressioni coniate da Franco Arminio, che corrispondono a due scenari tra i quali scegliere, per il futuro: da un lato la «comunità ruscello», vivace, fresca, a tratti imprevedibile nella sua irruenza ma sempre capace di adattarsi alle diverse conformazioni del terreno che incontra; dall’altro, la «comunità pozzanghera», statica, sempre uguale a se stessa, tranne che per il fatto che è destinata a prosciugarsi se non alimentata da nuove acque. Il messaggio è che «l’Italia è già strutturalmente un Paese dalle migrazioni plurime che, se adeguatamente indirizzate, incentivate e valorizzate, possono trasformarsi in società vive e inclusive». Ecco allora le parole del presidente della Fondazione Migrantes, monsignor Giancarlo Perego «Non è possibile che la politica non riconosca i cambiamenti che stanno avvenendo nella polis, nella città. Deve interpretarli e governarli con strumenti idonei e non pregiudiziali. Dal 1992 a oggi l’Italia è cambiata».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.