Era stata raccontata come la tassa green sulla casa, l’eco patrimoniale targata Bruxelles. Una delle normative europee più contestate e dibattute (in Italia) in un crescendo di fraintendimenti e vere e proprie fake news elettorali.
Per dipanare il bandolo polemico occorre riavvolgere il nastro e ricordare alcune cose importanti: la Direttiva sulla prestazione energetica degli edifici (Epbd) è uno dei pilastri del progetto Fit for 55, con cui l’Unione europea vuole ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni nocive rispetto ai livelli del 1990. Secondo le stime dell’Ue, infatti, gli edifici sono responsabili del 40% del consumo finale dell’energia e di circa il 36% delle emissioni.
Rendere case e uffici più efficienti ci consentirà di ridurre il consumo e le importazioni di gas, le bollette e le emissioni degli edifici. Inoltre intervenire sugli edifici esistenti per renderli più efficienti ci porterà in anche un aumento dell’occupazione nell’edilizia senza consumare nuovo suolo.
Non solo: recentemente la Banca d’Italia ha sottolineato come il prezzo di vendita richiesto per una casa nelle classi da A1 a A4 sia, a parità di altre caratteristiche, superiore del 25% in media rispetto al prezzo di un’abitazione in classe G. Le case valgono di più insomma e sta a noi – il sistema italiano – fare in modo che questo effetto moltiplicativo del valore cresca e si stabilizzi.
D’altronde dopo la sua approvazione ora la palla passa agli Stati membri, e mentre da noi infuria la polemica gli altri Paesi costruiscono i piani di applicazione che dovranno essere approvati entro il 2025.
Di cosa avremmo bisogno ora quindi? Sicuramente di tenere conto che il nostro Paese investe in efficienza energetica da più di vent’anni e tra bonus e super bonus qualcosa dovremmo pure averla imparata.
Ad esempio sarebbe utile anzi indispensabile per evitare dispersioni di risorse e distorsione del meccanismo (insomma film già visti), individuare e stabilizzare misure semplificate ma soprattutto legate in modo più stringente non solo al miglioramento della prestazione energetica (seguendo la tabella di marcia prevista dalla direttiva) ma anche al superamento delle barriere architettoniche e agli interventi su condomini e case popolari.
In questo modo gli italiani non dovrebbero temere né i costi delle ristrutturazioni, né una svalutazione del loro patrimonio edilizio, e soprattutto una direttiva sull’efficienza potrebbe trasformarsi in una misura di giustizia sociale.
Occorre dunque riorganizzare il sistema dei bonus e legarli ad un meccanismo di lotta alla povertà energetica costruendo politiche di welfare energetico locale.
Proprio sulla povertà – che rapidamente sta entrando nelle case degli italiani e delle italiane, e sulla paura di costi e deprezzamento degli immobili – si gioca purtroppo in maniera cinica la battaglia contro la direttiva Epbd.
In Italia ad esempio è circolata voce che immobili molto inquinanti non potrebbero essere affittati o addirittura venduti. È così? «Certo che no. – risponde direttamente sul Sole 24 Ore il relatore in sede europea, il verde irlandese Claràn Cuffe – La direttiva non introduce alcun limite di questo tipo. So che legislazioni in questo senso sono state adottate in Francia o in Olanda. La scelta è prettamente nazionale».
Che la direttiva sia un’occasione lo dimostrano le posizioni convergenti di due rappresentanze storicamente e funzionalmente contrapposte anche se – fortunatamente per il Paese – sempre più in dialogo e confronto: il sindacato degli edili Fillea Cgil ha recentemente sottolineato come si tratti di una direttiva strategica anche per la visione complessiva e di sistema che esprime (approccio integrato al quartiere), per gli obiettivi di efficienza energetica, salubrità degli ambienti, predisposizione al digitale e alla auto produzione e consumo che indica, e per gli strumenti che individua (a partire dai Piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, strumenti finanziari di intervento diretto e indiretto, fino al Passaporto dell’immobile e alla centralità della qualificazione dei lavoratori).
Serve quindi “una politica industriale di ampio respiro, con un sistema strutturale di incentivi mirati”, ha invece raccomandato la presidente Ance (Associazione nazionale costruttori edili), Federica Brancaccio… non proprio Greta Thunberg insomma!