Dal nuovo Green Book due importanti lezioni per l’economia circolare dei rifiuti urbani
Il nuovo Rapporto di Utilitatis sui rifiuti urbani – il Green Book – consente di fare il punto sullo stato del settore, potendo confrontare dati strutturali e tecnici (già presenti nel Rapporto Ispra) con molti, interessanti dati economici e gestionali forniti da Utilitatis, il Centro di ricerche di Utilitalia.
I dati tecnici ci dicono finalmente alcune cose. I rifiuti urbani diminuiscono (poco) sia come totale che come valore per abitante. Nel 2022 abbiamo raggiunto a livello nazionale l’obiettivo di raccolta differenziata previsto per il 2012, dieci anni dopo, meglio tardi che mai (siamo tra i più alti in Europa).
Non abbiamo ancora raggiunto l’obiettivo di riciclo effettivo previsto al 50% nel 2020 dato che nel 2022 siamo ancora al 49%, ma manca poco. Ma già al 2025 ci attende un nuovo target del 55%, al 2030 del 60%, al 2035 al 65%.
Esportiamo 850.000 tonnellate di rifiuti (da Tmb, prevalentemente a incenerimento), segno di una strutturale mancanza di impianti di recupero energetico in Italia. Importiamo invece materiali riciclabili, segno che il distretto del riciclo nazionale è vivo e florido.
Una sfida difficile, che si può vincere solo con una rapida evoluzione industriale ed organizzativa, che superi gli attuali colli di bottiglia.
Esiste un deficit impiantistico regionale importante, sia per i flussi di frazione organica, che per i flussi di indifferenziato. Andiamo ancora troppo in discarica (18%, obiettivo massimo 10% al 2035).
Il Rapporto richiama in sintesi l’enorme produzione normativa a scala europea in materia di economia circolare negli ultimi 5 anni, definendo un framework regolatorio molto complesso e sfidante: la nuova direttiva quadro sui rifiuti, il regolamento sugli imballaggi, sulla spedizione dei rifiuti, il provvedimento sull’ecodesign, il critical raw material act. Un quadro regolatorio che lancia una grande sfida al settore, chiamato ad uno sforzo di adeguamento a targets e nuove norme molto stringente.
Il Rapporto ci fornisce dati inediti sulla governance del settore, da alcuni anni sotto la lente di regolazione di Arera, come autorità nazionale.
Ma i rifiuti urbani sono un settore a “doppia regolazione” (locale e nazionale) e la situazione di quella locale è ancora provvisoria. Solo 10 regioni hanno costituito e operativi gli Ega (Enti di ambito), una Regione (la Lombardia) ha scelto un modello senza Ato, le altre regioni sono in fase di definizione (il Lazio aveva perimetrato 5 Ato ma la attuale Giunta ha revocato questa decisione e sta valutando il da farsi).
Il Green Book sottolinea una forte frammentazione del settore: a livello orizzontale con moltissimi affidamenti ancora a scala comunale, a livello verticale con una tendenziale separazione della gestione di molti impianti dai gestori del servizio di raccolta.
La maggior parte delle gare analizzate da Utilitatis sono svolte a livello monocomunale, la durata molto breve e gli affidamenti di ambito sono pochissimi (Toscana, Umbria, Emilia). Le aziende che gestiscono i rifiuti urbani sono alcune centinaia, le gestioni alcune migliaia, con molte gestioni in economia o micro gare d’appalto. Le imprese iscritte all’Albo smaltitori sono circa 170,000 quindi la maggior parte piccole o micro imprese. Una situazione solo in parte bilanciata da alcuni (pochi) operatori di livello nazionale o multinazionale.
La prima indicazione che il Rapporto ci da è questa: la sfida dell’economia circolare dei prossimi anni si vince se si afferma una governance locale solida e efficiente, capace di affiancarsi in modo efficace alla regolazione Arera nazionale.
Nei numeri aggregati il settore dei rifiuti urbani appare solido, con oltre 13 miliardi di fatturato (0,7% del Pil) e 86.000 addetti. Il campione di 439 aziende analizzate presenta bilanci in ordine, con redditività crescenti in ragione della dimensione o del fatto che gestiscono impianti e non solo raccolte. Il settore sembra quindi, nel suo “pezzo” composto dalle imprese, pronto alla sfida dei prossimi anni, fatta di investimenti e innovazione, di integrazione delle filiere e di apertura al mercato.
La seconda indicazione che il Rapporto di da quindi è sul lato industriale: le sfide dell’economia circolare si vincono con una politica industriale che rafforzi le imprese, promuova le integrazioni, sostenga investimenti ed innovazione.
Il Rapporto ci fornisce anche qualche dato su un tema caro al dibattito pubblico: la spesa dei cittadini. Il valore medio di spesa per una famiglia di 3 persone che occupa una casa di 100 metri quadri è pari a 328 euro, meno di un euro al giorno. Valore abbastanza stabile negli anni (era 312 nel 2014) anche se si è registrato un aumento nell’ultimo periodo, dal 2020 al 2023, dopo una lunga fase di stasi. Intorno alla media i valori si differenziano in ragione delle aree geografiche (il sud spende di più) e della dimensione dei Comuni (le città grandi spendono di più).
Fra gli approfondimenti tematici spicca l’analisi sul costo delle raccolte differenziate degli imballaggi, stimato dal Rapporto in oltre 2 miliardi di euro, a fronte di un gettito del contributo Conai di poco superiore ai 500 milioni. Dato che ci dice che la indicazione della nuova direttiva per cui i sistemi di compliance devono coprire almeno l’80% dei costi è ancora lontana da essere rispettata.
Ma il Rapporto contiene moltissimi approfondimenti specifici: l’analisi delle performance dei gestori, dei costi e degli indicatori di bilancio; l’analisi della spesa media dei cittadini, l’analisi dell’impatto della nuova norma sulle materia critiche, le valutazioni sul tema degli “impianti minimi”. Un volume da leggere con attenzione e tenere a portata di mano sulla scrivania.