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Oltre raccolta differenziata e riciclo c’è di più: a che punto è l’economia circolare italiana

 |  Editoriale

Il Rapporto sull’economia circolare in Italia appena pubblicato dal Circular economy network (Cen) ci fornisce una serie di dati interessanti, forse di non facile lettura per un pubblico non specialistico, che vanno quindi un po’ approfonditi.

Il dibattito pubblico sui rifiuti per anni si è appassionato ad un solo numero: il tasso di raccolta differenziata, indicatore unico delle virtù di un territorio, di un Comune, di un gestore. Da qui la narrazione continua sui “Comuni ricicloni”, parola inappropriata come spesso si è detto, perché raccogliere in forma differenziata non equivale a riciclare. Si doveva per legge arrivare al 65% nel 2012, ci siamo arrivati a scala nazionale nel 2022, meglio tardi che mai.

Negli ultimi anni è apparso un altro numero magico, il tasso di riciclo effettivo. Numero diverso dal tasso di raccolta differenziata perché misura (sulla base di una metodologia in corso di affinamento da parte della Commissione europea e di Eurostat) il reale avvio al riciclo dei materiali raccolti, al netto quindi di frazioni estranee e scarti del processo del riciclo.

L’obiettivo per i rifiuti urbani (scorsa direttiva rifiuti) era il 50% al 2020 e siamo al 48,3 % al 2022 in Italia. I prossimi target (nuova direttiva rifiuti) sono 55% al 2025, poi 60% al 2030 e infine 65% al 2035. Obiettivi sfidanti e difficili, ma ce la possiamo fare, magari considerando anche i flussi di riciclo non derivanti dalla raccolta differenziata, ma derivanti dai trattamenti dell’indifferenziato, purtroppo per adesso le regole di calcolo europee si danno poco spazio.

Non esistono obiettivi di riciclo nelle direttive europee per l’insieme dei rifiuti speciali, industriali o comunque non urbani, se non per specifici flussi (imballaggi in generale, veicoli, Raee, etc). Eurostat da alcuni anni pubblica un dato sul riciclo calcolato su tutti i rifiuti solidi (urbani e non), da cui l’Italia esce benissimo (83,2 % nel 2021) grazie ad una altissima percentuale di avvio ad operazioni di recupero nei rifiuti speciali. Il Rapporto Cen ferma questa percentuale al 72% nel 2020 che è comunque la più alta d’Europa.

Il tasso di riciclo sta entrando nel lessico della comunicazione, ma fa un po’ ancora fatica ad essere capito ed il calcolo è complesso. Gli analisti dell’economia circolare, e lo stesso Rapporto Cen si propongono da alcuni anni, altri indicatori, più analitici ed interessanti.

Il primo indicatore da usare per capire l’economia circolare è l’impronta di materiali: quanta materia (minerali non metallici, metalli, biomassa e combustibili fossili) stiamo usando per le nostre attività produttive e i nostri consumi. Il Rapporto Cen ci dice che l’impronta dei materiali ad abitante, in Europa nel 2022 è pari a 14,9 tonnellate (stabile rispetto all’anno prima), in Italia è 12,8, più basso della media europea ma in crescita rispetto all’anno precedente (2021).

Un dato correlato a questo è il l’indicatore di produttività delle risorse, che di dice quanta materia consumiamo per unità di Pil. Nel 2022 in Italia per ogni kg di risorse consumate sonostati generati 3,7 euro di Pil, in lieve miglioramento rispetto a 3,6 euro/kg del 2018. L’Italia ha un performance molto migliore della media europea (2,5 euro/kg). Anche qui siamo leader, generiamo Pil usando meno risorse.

Da questi dati si ricava anche un ulteriore numero “nuovo”, l’indice di circolarità, ovvero quanta della materia che usiamo deriva dal riciclo. In Europa nel 2022 è stato 11,5% (stabile negli ultimi anni), in Italia è stato del 18,7%,  in leggero calo rispetto all’anno prima (11,8%).  Anche qui bene quindi per il nostro Paese.

Siamo avanti in tutti gli indicatori ma il Rapporto ci segnala che stiamo perdendo mordente, rallentando e questo primato potrebbe essere messoin discussione nei prossimi anni, se non miglioriamo ed innoviamo.

Ma qualcosa non torna apparentemente  nel confrontare questi numeri. Come è possibile che l’Italia con il 72% di riciclo totale (forse 82,2%) abbia un tasso di circolarità di solo il 18,7%?

Sembra un controsenso, ma la spiegazione è semplice. Vediamo pochi numeri (aiutatevi con la tabella).  L’Italia nel 2022 consuma 687 milioni di tonnellate di materiali (poco meno della metà importati), ne esporta 152, 132 diventano rifiuti e di questi 6 vanno ad incenerimento, 6 a discarica, 123 a riciclaggio (secondo questo calcolo di Eurostat addirittura il 90%). Ma il tasso di circolarità calcola il flusso di riciclo rispetto alla quantità totale di materiali lavorati al netto delle esportazioni (645 milioni di tonnellate) da qui il valore del 18,7% di circolarità.

È evidente che sull’indicatore pesa il valore dei combustibili fossili e biomassa usati e trasformati in emissioni (204 milioni di tonnellate) e lo stock di materiale (minerale e inerte) accumulato ogni anno  in beni e manufatti di lunga durata (310 milioni di tonnellate).

Per dirla semplice anche se riciclassimo il 100% dei rifiuti, arriveremmo al 20,5% di tasso di circolarità, non potremmo andare oltre. Per migliorare questo indicatore (che forse dovrebbe chiamarsi di sostenibilità e non di circolarità) dovremo ridurre l’uso di combustibili.

Ma per raggiungere questi due risultati la gestione dei rifiuti c’entra poco.

Andrea Sbandati

Andrea Sbandati è direttore generale di Confservizi Cispel Toscana, l’associazione regionale delle imprese di servizio pubblico. È esperto senior nella regolazione economica della gestione dei rifiuti urbani e dei servizi idrici (sistemi tariffari, piani industriali, benchmark), come nella organizzazione dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, energia, altro). Ricercatore senior nel campo della gestione dei rifiuti e dell'acqua, docente in Master di specializzazione nella regolazione economica dei servizi ambientali locali (Sant'Anna, Turin school of regulation). Da venti anni coordinatore ed esperto di progetti di assistenza tecnica e cooperazione internazionale nei servizi pubblici locali (Medio Oriente, Africa, Sud America).