
Fuga dal Belpaese: nell’ultimo anno sono espatriati 156mila cittadini italiani (+36,5%). Fecondità al minimo storico, ci tengono a galla soltanto i migranti

L’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha aggiornato all’ultimo anno i dati sugli indicatori demografici, che mostrano una crisi senza soluzione di continuità: mentre la retorica dell’estrema destra si concentra sul pericolo rappresentato dall’arrivo dei migranti – oltre che sugli ambientalisti presunti facinorosi, nuovo nemico antropologico –, ancora l’opinione pubblica fa fatica a capire che i migranti siamo noi.
Al 31 dicembre 2024 la popolazione residente in Italia conta 58 milioni 934mila individui (dati provvisori), in calo di 37mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente. La diminuzione della popolazione prosegue ininterrottamente dal 2014, approfondendo le disuguaglianze interne dato che a svuotarsi è soprattutto il Mezzogiorno e le aree interne.
Questa dinamica è legata al continuo calo nelle nascite – che nel 2024 si attestano a quota 370mila, registrando una diminuzione sul 2023 del 2,6% – ma anche al boom di emigrazioni all’estero: solo nell’ultimo anno se ne sono andati dall’Italia in 191mila (+20,5% sul 2023), dei quali ben 156mila sono cittadini italiani che espatriano (+36,5%).
Del resto non è facile pensare di mettere su famiglia se quasi un quarto della popolazione italiana è a rischio povertà o esclusione sociale, e per lo stesso motivo chi può cerca maggior fortuna all’estero.
Per lo stesso motivo siamo meno attrattivi per i migranti di altri Paesi (le immigrazioni dall’estero sono state 435mila, inferiori di circa 5mila unità rispetto al 2023), ma ancora non così tanto, per nostra fortuna: il saldo migratorio netto con l’estero resta pari a +244mila. Lavoratori che contribuiscono a puntellare, con le loro tasse e le loro braccia, uno stato sociale sempre più povero.
È l’ennesima dimostrazione del fallimento per l’attuale modello di sviluppo, incentrato sull’impiego dei combustibili fossili e sull’ampliarsi delle disuguaglianze economiche. Per invertire la rotta, è dunque evidente l’urgenza di agire su entrambi questi pilastri. Come? Dando gambe alla rivoluzione energetica delle fonti rinnovabili – come sta avvenendo in Spagna o Germania – e al contempo redistribuire le abbondanti risorse economiche ancora presenti nel Paese (la ricchezza netta delle famiglie è stimata dall’Istat in oltre 11mila miliardi di euro). Si tratta di due aspetti tra loro connessi.
Varando una riforma fiscale in senso progressivo, nel rispetto dell’articolo 53 della Costituzione, libereremmo anche importanti risorse per la transizione ecologica. Qualche esempio? Un recentissimo studio presentato su queste colonne dai ricercatori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e del LMU di Monaco propone una riforma organica della tassazione nazionale su reddito e/o capitale, dalla quale potremmo ricavare circa 26 miliardi di euro attingendo solo dall’1% più ricco della cittadinanza, trovando così un’importantissima fonte di finanziamento per la transizione ecologica del Paese, rendendola al contempo socialmente più equa e (dunque) più accettabile dalla popolazione.
