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L’Italia colleziona nuove procedure d’infrazione Ue: non ha rispettato quella sulle discariche rifiuti, né la Red III sulle aree di accelerazione per le rinnovabili. E con pochi nuovi impianti le bollette continuano a crescere
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Nel nuovo pacchetto sui casi di infrazione adottato ieri, la Commissione Ue ha avviato ulteriori azioni legali nei confronti degli Stati membri inadempienti agli obblighi previsti dal diritto. In prima fila c’è ancora una volta l’Italia, con Bruxelles ad accendere un faro in particolare sul non corretto recepimento della direttiva sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE quale modificata dalla direttiva (UE) 2018/850) da un lato, e dall’altro in merito alle norme sull'accelerazione delle procedure di autorizzazione per i progetti di energia rinnovabile previste dalla direttiva Red III (direttiva (UE) 2023/2413).
Per quanto riguarda le discariche rifiuti, l’Italia (insieme alla Francia) si è vista recapitare dall’Ue una lettera di costituzione in mora, che rappresenta il primo step per l’avvio di una procedura d’infrazione.
In particolare, l’infrazione italiana (INFR(2024)2268) sulle discariche rifiuti riguarda l'obiettivo di ridurre il collocamento in discarica dei rifiuti urbani al 10 % entro il 2035, vieta, a partire dal 2030, il collocamento in discarica di rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, e stabilisce regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi di riduzione del collocamento in discarica. L'Italia, insieme ad altri Stati membri, non ha definito correttamente i) che i rifiuti sottoposti a incenerimento devono essere dichiarati come collocati in discarica; ii) il tipo di rifiuti che possono essere inviati a una discarica di rifiuti pericolosi; e iii) le specifiche per lo stoccaggio temporaneo di mercurio metallico. Inoltre, l'Italia non ha recepito correttamente alcune delle prescrizioni relative al monitoraggio del gas e al campionamento delle acque sotterranee nelle discariche.
Per quanto riguarda invece il fronte delle rinnovabili, l’Italia ha appena compiuto il secondo passo – dopo quello dello scorso settembre – nel percorso della procedura d’infrazione europea, dato che la Commissione ha inviato una richiesta formale (“parere motivato”) in cui ingiunge allo Stato di conformarsi al diritto dell'Unione e lo sollecita a comunicarle i provvedimenti disposti a tal fine entro due mesi. In questo caso l’Italia con la sua infrazione (INFR(2024)0232) resta in buona compagnia insieme ad altri 7 Stati membri (Bulgaria, Spagna, Francia, Cipro, Paesi Bassi, Slovacchia, Svezia), anche se a settembre la procedura d’infrazione era stata avviata per ben 26 Stati membri: gli altri adesso sono in regola.
Dopo aver esaminato le risposte degli otto Stati membri in questione, la Commissione ha deciso di inviare pareri motivati alla Spagna, all'Italia, a Cipro, alla Slovacchia e alla Svezia per la mancata comunicazione delle misure di recepimento e alla Bulgaria, alla Francia e ai Paesi Bassi in quanto non hanno fornito informazioni sufficientemente chiare e precise sul modo in cui le rispettive misure di recepimento recepiscono ciascuna delle disposizioni della direttiva. Gli otto Stati membri dispongono ora di due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire i casi alla Corte di giustizia dell'Ue.
Come ricordano da Bruxelles, la direttiva Red III «modifica la direttiva sulle energie rinnovabili (direttiva (UE) 2018/2001) introducendo nuove norme per semplificare e abbreviare le procedure di autorizzazione sia per i progetti di energia rinnovabile che per i progetti infrastrutturali necessari per integrare la capacità supplementare nel sistema elettrico, prevedendo chiari termini per le procedure di rilascio delle autorizzazioni mirate a tecnologie o tipi di progetti specifici. Inoltre la direttiva introduce la presunzione d'interesse pubblico prevalente dei progetti di energia rinnovabile, ivi compreso lo stoccaggio e la relativa infrastruttura di rete. Vi è inoltre l'obbligo per gli Stati membri di designare "zone di accelerazione per le energie rinnovabili" all'interno delle quali i progetti possono beneficiare di termini più brevi per le autorizzazioni, dati i ridotti impatti ambientali. Il termine per il recepimento di tali disposizioni nell'ordinamento nazionale era fissato al 1° luglio 2024».
La direttiva impone obiettivi vincolanti, compreso quello di coprire con fonti rinnovabili entro il 2030 almeno il 42,5% del consumo energetico totale dell’Ue, ma l’Italia è molto lontana dal tracciato. Se già nel 2021 l’associazione confindustriale Elettricità futura – che rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale – denunciava che «il ritardo medio per autorizzare un impianto rinnovabile raggiunge quasi i 6 anni, che si vanno ad aggiungere ai 2 anni previsti dalla legge» i provvedimenti messi in fila dal Governo Meloni (dal decreto Agricoltura a quello Aree idonee che demanda tutto alle Regioni con conseguente caos normativo, fino al Testo unico sulle rinnovabili) si sono rivelati altri bastoni tra le ruote per il settore: non a caso lo scorso ottobre l’intera filiera elettrica, rappresentata dalla confindustriale Federazione Anie insieme ad Elettricità futura, ha chiesto un cambio rotta al Governo. Ma invano: anche il 2024 si è chiuso con soli +7,48 GW di impianti rinnovabili entrati in esercizio, a fronte dei circa +12 GW/anno necessari a raggiungere gli obiettivi al 2030. Risultato? L’Italia soffre le bollette più alte d’Europa, mentre resta inespresso il potenziale delle rinnovabili per abbassarle.
Basti infatti osservare che, anche con un mercato elettrico imperfetto, la progressione delle rinnovabili può garantire enormi risparmi: negli ultimi 4 anni l’extra-costo in bolletta per le famiglie italiane rispetto a Spagna e Portogallo, dove invece le rinnovabili corrono, si stima arrivi a 74 miliardi di euro.
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