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Ecco perché l’economia circolare conviene alle imprese italiane, spiegato da Cassa depositi e prestiti. Nell’ultimo anno hanno risparmiato 16,4 mld di euro, siamo leader europei e secondi per brevetti, ma con molti fronti su cui ancora migliorare

 |  Editoriale

Il nuovo brief della direzione Strategie settoriali e Impatto di Cassa depositi e prestiti (Cdp) esamina lo stato attuale e le prospettive dell’economia circolare in Italia, evidenziando i principali vantaggi economico-finanziari per le imprese e le leve per mantenere l’attuale (eccellente) posizionamento. 

Un quadro aggiornato di dati e valutazioni, con al centro non tanto le politiche pubbliche quanto il comportamento delle imprese italiane (piccole/medie/grandi) nell’affrontare la sfida della circolarità.

La premessa del lavoro sta in pochi numeri. L’Italia ha una fortissima dipendenza dalla importazione di materie prime non disponendo di risorse proprie, importiamo il 48% dei materiali (contro una media europea del 22%) che ci servono per le nostre attività produttive (quindi anche per l’export). Questa caratteristica “critica” ha spinto da decenni il sistema industriale italiano a perseguire modelli di uso efficiente dei materiali, diventando così il Paese leader europeo nella circolarità. Lo testimoniano 3 indicatori semplici e chiari, già sottolineati bene a novembre dallo studio di Assoambiente presentato ad Ecomondo:

1. il miglior tasso di avvio a riciclo dei rifiuti totali (urbani e speciali, con oltre il 90%) dove l’Italia non ha eguali in Europa, a testimonianza di un sistema manifatturiero fortemente orientato al recupero dei rifiuti da attività produttive;

2. uno dei migliori indici di produttività delle risorse, ovvero produciamo ricchezza con meno materie prime di altri (Italia al quarto posto in Ue, preceduta solo da Paesi Bassi, Lussemburgo e Irlanda);

3. uno dei migliori tassi di utilizzo di materiali circolari, ovvero la quantità di materiali di riciclo sul totale del flusso di materia utilizzato, che nel 2023 si attesta al 20,8%, quasi il doppio della media Ue (11,8%) e superiore alle principali economie europee.

cdp economia circolare 1

Dietro a questi “macronumeri” si celano aspetti molto positivi e altri più critici, che il Report di Cassa Depositi e Prestiti descrive con cura. L’ottimo posizionamento dell’Italia deriva, soprattutto, dagli indicatori che fanno riferimento alla gestione dei rifiuti, che però costituisce solo una dimensione dell’economia circolare.  In realtà la virtuosità del sistema produttivo italiano nella fase di riciclo sarebbe ancora più evidente se nelle statistiche considerassimo i flussi di sottoprodotti e di end of waste. Per quanto l’Italia usi questi strumenti con meno intensità di altri Paesi europei (da qui l’elevata produzione di rifiuti speciali per unità di Pil, come chiaramente indicato da un recente report di Ref Ricerche), se considerassimo questi flussi i nostri valori di riciclo sarebbero ancora più alti.

Più in ritardo sembrano le imprese italiane nel definire strategie e comportamenti, sia nella fasi di progettazione dei prodotti (riciclablità, durabilità), sia nella fase di riuso e remanufacturing e di passaggio da prodotto a servizio.

Complessivamente, il 42% delle imprese italiane ha già adottato almeno una misura di economia circolare, e un ulteriore 22% intende farlo in futuro, secondo Cdp. La concentrazione maggiore di queste imprese si registra in Lombardia, Piemonte e Veneto, evidenziando una maggiore attenzione e sensibilità verso questi modelli nelle regioni del nord Italia.

cdp economia circolare 2

Il riciclo è l’attività predominante, con un tasso medio di adozione del 60%, valore che può ancora essere migliorato. Il settore degli imballaggi spicca come eccellenza nel riciclo, superando la media europea, anche con notevole anticipo sugli obiettivi fissati dall’Unione europea per il 2025. Le pratiche legate alla fase di progettazione del prodotto hanno una buona diffusione, con oltre due imprese su cinque che le adottano, soprattutto le piccole e medie imprese che possono fare leva sulla forte tradizione artigianale italiana.

Sono meno diffuse invece le soluzioni volte a prolungare la durata d’uso di prodotti e componenti. Tra queste, il riutilizzo vede una maggiore adozione da parte delle imprese, in un momento in cui l’economia di seconda mano sta registrando una forte crescita, trainata soprattutto dalle generazioni più giovani.

La capacità di adottare pratiche circolari è notevolmente influenzata dalle dimensioni aziendali: il tasso di adozione da parte delle grandi imprese è al 46%, a differenza delle piccole, che si fermano al 37%.

Ma quello che emerge di molto interessante dallo studio di Cdp sono le motivazioni alla base delle scelte di circolarità di imprenditori e manager. Si rafforzano le motivazioni puramente economiche (risparmi di costo) ma soprattutto si riduce il “rischio approvvigionamenti”, in una fase di turbolenza dei mercati globali.

Il mercato del riciclo sembra “più sicuro” di quello delle materie vergini. Nel 2024 l’utilizzo di pratiche di circolarità nelle imprese manifatturiere italiane ha infatti generato un risparmio superiore a 16,4 miliardi di euro, cifra che rappresenta solo il 15% del potenziale di risparmio stimato, che potrebbe raggiungere 119 miliardi di euro entro il 2030. Le imprese più “circolari” presentano (secondo Ecocerved) un minor rischio di default e hanno un migliore accesso al credito ed indicatori di liquidità migliori.

Ma il dato più sorprendente riguarda l’innovazione. L’Italia in Europa è il secondo Paese per il numero di brevetti circolari registrati, dopo la Germania. Il Paese ha registrato una crescita costante dal 2016, raggiungendo un picco nel 2020, con oltre 60 brevetti circolari registrati, oltre il 52% da parte di Pmi. Un dato di grande interesse che fa ben sperare per lo sviluppo futuro di nuove tecnologie a supporto delle strategie di circolarità (intelligenza artificiale, blockchain, IoT, Big data), necessario per cogliere le nuove sfide.

La transizione ecologica, anche nel campo della circolarità, richiede un grande sforzo di investimenti ed innovazione da parte delle aziende, e su questo punto l’Italia presenta ancora un ritardo, che si riflette poi su una certa lentezza “dinamica” nel migliorare le proprie performance circolari, anche se leader di settore: investimenti medi di basso importo (50.000 euro) e finalizzati per lo più a tempi di ritorno brevi.

È tempo quindi di un cambio di passo e di uno sforzo di innovazione importante, basato su investimenti e ricerca; sforzo che sarà sostenuto dei programmi per l’industria Transizione 4.0 e 5.0 ma anche dai progetti Pnrr e dai Fondi strutturali europei (Fesr). In Toscana, ad esempio, si attende un bando specifico per le imprese e la circolarità, possibile adesso dopo l’approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti e dell’economia circolare.

Andrea Sbandati

Andrea Sbandati è senior advisor di Confservizi Cispel Toscana (l’Associazione regionale delle imprese di servizio pubblico), dopo esserne stato Direttore fino a novembre 2024. È esperto senior nella regolazione economica della gestione dei rifiuti urbani e dei servizi idrici (sistemi tariffari, piani industriali, benchmark), come nella organizzazione dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, energia, altro). Ricercatore senior nel campo della gestione dei rifiuti e dell'acqua, docente in Master di specializzazione nella regolazione economica dei servizi ambientali locali (Sant'Anna, Turin school of regulation). Da venti anni coordinatore ed esperto di progetti di assistenza tecnica e cooperazione internazionale nei servizi pubblici locali (Medio Oriente, Africa, Sud America).