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Perché per siccità e alluvioni non ci sono più le mezze stagioni. Effetto Global Change sull'acqua

 |  Editoriale

Siamo a maggio, e molti corsi d’acqua improvvisamente sono in piena, soprattutto al nord. Ieri sono esondati il Lambro e il Seveso in Lombardia. Oggi in Veneto rompe gli argini il fiume Muson e allaga. Insomma, non ci sono più le mezze stagioni e se, con meteorologi ed esperti, eravamo in attesa solo del grande caldo e della probabile conseguente stagione siccitosa, dobbiamo invece difenderci in piena primavera da una meteorologia di tipo autunnale.

C’è già chi, con la solita alzata di spallucce, grida al complotto della “grande truffa” del cambiamento climatico, ti incalza e ti chiede: ma allora il caldo estremo, la diminuzione delle precipitazioni, le siccità, sono tutte invenzioni? E l’aumento della temperatura? Pensa che stanotte ho dormito col piumone! E così via, da un bar all’altro, da un social all’altro.

Il fatto è che il cambiamento climatico è una cosa seria, certificato e studiato e rappresentato in una miriade di studi su riviste scientifiche di ricercatori e studiosi di tutto il mondo, come seri sono i suoi impatti. Ma spesso viene ridotto dai media, e anche da alcuni “cultori della sciagura”, come una sorta di “evento biblico” con fenomeni e relativi impatti economici, sociali e ambientali dai quali l’umanità non può sfuggire.  E invece non è così.

Intanto il cambiamento climatico, come tutti i fenomeni fisici, è una tendenza probabilistica, un trend di lungo periodo. Sta crescendo la temperatura media del mondo, in alcune aree di più e in altre di meno, ma non per questo dobbiamo oggi dire addio a cappotti e piumoni.

Giornate e stagioni più fredde della media ci saranno ancora. Dovremo fare i conti ancora con l’alternarsi di caldo e il freddo, con i disagi e i danni della “poca acqua” e della “troppa acqua”, con modifiche nei cumulati di pioggia e di neve per frequenze e intensità sempre più disordinate e molto variabili.

Quindi non ci deve stupire, e non deve farci abbassare la guardia sulla necessità dell’adattamento al cambiamento climatico, l’alternanza di fenomeni all’apparenza contraddittori con piogge intense sulle città al nord con flash flood, e picchi di calore intenso al sud. Anni e mesi di scarsa piovosità si alterneranno a periodi di piogge continue e intense, anche fuori stagione come sta accadendo in Italia in questo periodo.

Ma c’è un dato straordinario per l’Italia, che pochi conoscono. Se analizziamo gli ultimi 70 anni di precipitazioni annuali sulla Penisola, emergono certo la variabilità nei picchi in alto e in basso rispetto alla media di lungo periodo, un trend che, dall’anno 2000 in poi, vede un’alternanza sempre più frequente, con picchi in alto e in basso sempre più elevati.

Insomma, la media rappresenta sempre meno quel che accade nel singolo anno. E quindi non stupiamoci se un anno pioverà molto e l’anno successivo si raggiungerà, magari, il nuovo minimo storico come è stato per il siccitoso 2022. Detto questo, le previsioni sul lungo periodo delle precipitazioni sull’Italia vedranno diminuire fortemente le nevicate, mentre le piogge subiranno solo un leggero ridimensionamento.

Le proiezioni delle precipitazioni, che oggi hanno un clamoroso volume medio annuale di 296 miliardi di metri cubi di acqua sotto forma di pioggia o neve o grandine e ci vedono in testa a quasi tutti i paesi europei, indicano intorno al 2050 un calo ma solo verso i 280 miliardi di metri cubi all’anno.

La “disponibilità di acqua” per i nostri utilizzi nazionali, che è data dalla differenza tra le precipitazioni e l’evapotraspirazione, stazionerà quindi tra i 110 e i 120 miliardi di metri cubi all’anno.

Per capire quanto noi italiani siamo beneficiati dall’acqua, basterebbe confrontare questo volume previsto con l’attuale volume prelevato per fini antropici, calcolato intorno ai 34 miliardi di metri cubi all’anno, e ancora di più con il volume di acqua effettivamente utilizzato, che oggi è pari a 26 miliardi di metri cubi, con perdite nette di circa 8 miliardi.

Insomma, non siamo un Paese assetato o in permanente emergenza siccità. Se l’acqua in diverse aree dell’Italia mancherà nel futuro, come peraltro già accade oggi ad esempio in Sicilia, sarà per carenze o per mancanze di infrastrutture idriche soprattutto di accumulo, e per scarsi o assenti interventi nella modernizzazione infrastrutturale e nella riparazione delle perdite nella distribuzione, per sprechi e inefficienze nella gestione dell’acqua, per scarsissimi investimenti pubblici e sottovalutazioni generali, ma non per colpa della diminuzione di precipitazioni.

E se la “troppa acqua”, con piogge intense come quelle di questi giorni così fortemente localizzate e fuori stagione, farà danni a cose e persone sarà, ancora una volta, per colpa della cronica mancanza di politiche di difesa e di investimenti in infrastrutture utili per la mitigazione del rischio idrogeologico, per contenere fuori e dentro le aree urbane le ondate di alluvioni e per ridurre il rischio frana, e non certo dell’ineluttabilità del “destino cinico e baro”.

Di fronte ai nuovi fenomeni della meteorologia servirebbe che la politica prendesse coscienza degli alert di scienziati ed esperti, e avviasse un piano nazionale sia per la sicurezza idrica sia per la sicurezza idrogeologica, i due fondamentali strumenti per l’adattamento al cambiamento al clima ormai cambiato, che in prospettiva salveranno anche la nostra economia. Tutto il resto sono parole vuote. E ne abbiamo sentite troppe, e da troppo tempo.

Mauro Grassi

Mauro Grassi, economista, ha lavorato come ricercatore capo nell’Istituto di ricerca per la programmazione economica della Toscana (Irpet), ha lavorato a Roma come dirigente caposegreteria del Sottosegretario ai Trasporti Erasmo D’Angelis (Ministero delle Infrastrutture) e quindi come direttore di Italiasicura (Presidenza del Consiglio) con i Governi Renzi e Gentiloni. Attualmente è consulente e direttore della Fondazione earth and water agenda.