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Scossa idroelettrica. «Noi operatori possiamo restituire alla Ue fondi Pnrr per il mancato obiettivo delle gare e sbloccare 15 miliardi d’investimenti per nuove concessioni». La proposta di Argirò per rilanciare l’energia dall’acqua dopo il record 2024

 |  Editoriale

Mentre la premier Giorgia Meloni dal World Future Energy Summit di Abu Dhabi definisce “strategica la transizione energetica” e colloca l’Italia come snodo per i flussi di energia tra l’Europa e l’Africa con progetti come l’elettrodotto sottomarino Elmed Italia-Tunisia, firma l’intesa quadro per lo sviluppo di una nuova infrastruttura di produzione e distribuzione di “energia verde” e spiega che occorre puntare sulle “alternative ai combustibili fossili”, e mentre la nuova Commissione europea mette nero su bianco per l’Italia che la "forte dipendenza dai combustibili fossili e interconnessioni di rete limitate" sono tra le cause dei "prezzi elevati dell'energia", a Roma continua l’imbarazzante impasse delle concessioni idroelettriche. Il comparto energetico mai come oggi strategico, ma paralizzato negli investimenti più urgenti nella perenne attesa che qualcuno riesca a sciogliere il nodo delle gare che, per dirla alla Winston Churchill, è diventato negli ultimi dieci anni “un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”.

Già, la vera sorpresa energetica del 2024 sul territorio nazionale è arrivata dalle 4.860 centrali idroelettriche, che stanno producendo tanta elettricità da coprire circa il 50% dell’intera produzione da fonti rinnovabili.

La sola fonte idrica nei primi 6 mesi del 2024, nelle rilevazioni di Terna, ha visto l’exploit del +197,5% in un quadro di produzione energetica da fonti rinnovabili che, per la prima volta su base semestrale, ha superato con un +27,3% rispetto al primo semestre 2023 la produzione da fonti fossili in flessione del 19%. Da gennaio a giugno 2024, l’idroelettrico ha raggiunto il tetto record di 25,92 TWh, un +64,8% rispetto ai 15,73 TWh del gennaio-giugno 2023. Le nostre centrali sono sempre più strategiche e anche sempre più integrate nei contesti naturali e paesaggistici, al punto da non distinguere più un lago naturale da un lago artificiale. In gran parte sono di taglia mini-idroelettrico, e le stime più attendibili prevedono che il solo restyling tecnologico possa far aumentare di 5,8 GW la potenza e di 4,4 TW l’energia annua, eliminando oltre 2 milioni di tonnellate di emissioni di CO2.

Oggi lavorano oltre 12 mila addetti altamente professionalizzati, e le aziende hanno in pancia previsione di grandi investimenti nei prossimi 10 anni, per circa 15 miliardi di euro, ma a patto di sbrogliare prima possibile il groviglio delle concessioni, un problema che si trascina da una quindicina di anni non gestito o gestito malissimo nonostante le raccomandazioni della “Commissione parlamentare per la sicurezza della Repubblica”, che indica la strada della tutela delle concessioni ai fini della sicurezza energetica nazionale attraverso la loro proroga.

La questione delle gare è diventata un problema con l’obbligo inserito nella Direttiva europea Bolkenstein, e poi tra i criteri per accedere ai fondi del Pnrr come definiti dal Governo Draghi per chiudere la procedura di infrazione aperta dalla Ue con la milestone M1C2-6, che impone gare e eliminazione progressiva dei rinnovi dei contratti in essere e la revisione del quadro normativo delle concessioni idroelettriche.

L'articolo 7 della Legge 5 agosto 2022, n. 118 - la legge per il mercato e la concorrenza 2021 - ha infatti modificato la disciplina in materia concessioni di grande derivazione idroelettrica, imponendo alle Regioni la definizione dei criteri economici alla base della durata dei contratti di concessione, di eliminare la possibilità di prorogare i contratti e di eliminare o ridurre proroghe e rinnovi automatici. La norma, inserita nell’aprile del 2021 nel Pnrr, prevede quindi l’obbligo di avviare procedure competitive per mettere a gara le concessioni scadute entro la fine del 2023, soprattutto per impianti oltre i 3 MW di produzione. Poche regioni si sono attivate ma l’impasse è generale con concessioni ormai scadute da anni, avvii di procedure con ricorsi delle imprese uscenti o concorrenti, perplessità e incertezze e caos normativo che stanno bloccando da anni gli investimenti strategici e di lungo periodo di chi teme di perdere la gestione degli impianti.

«Eravamo però in un altro mondo quando fu inserita la norma nel Pnrr», argomenta Giuseppe Argirò, vicepresidente di Elettricità Futura (che rappresenta oltre il 70% del mercato elettrico italiano), con delega sull'idroelettrico e amministratore delegato della Compagnia Valdostana delle acque (Cva). In effetti, ancora non c’era stato lo shock energetico seguito all’invasione russa dell’Ucraina e il caos geopolitico che ci espone a troppe fragilità, puntando purtroppo quasi tutto sul gas con futuribili ritorni al vecchio e rischiosissimo nucleare “di fissione” che appassiona – fortunatamente solo a parole – chi ancora ci crede, ma viene spiazzato platealmente anche dalla stessa premier Meloni che anche nel suo intervento alla “Abu Dhabi Sustainability Week” ha indicato nel “mix energetico equilibrato” per il nucleare la sola tecnologia della “fusione nucleare in grado di cambiare effettivamente la storia", ma che vedrà la luce se va bene fra circa tre decenni.

Nel frattempo, sbloccare l’idroelettrico nazionale è la soluzione che sarà proposta alla Commissione Ue, modificando la norma del Pnrr. La soluzione del rebus è quindi appesa al filo delle nuove interlocuzioni soprattutto con Raffaele Fitto tra i vicepresidenti esecutivi. Ballano piani di investimenti per complessivi 15 miliardi di euro, già previsti ma bloccati nel lungo impasse sulle gare previste per legge ma contrastate e mai avviate.

Potrebbero essere sbloccate solo con la riassegnazione delle concessioni e Argirò lancia sulla trattativa europea una proposta che potrebbe consentire alle regioni di poter riassegnare le concessioni idroelettriche agli operatori uscenti, come è stato fatto in manovra con le concessioni per la distribuzione elettrica, tutelando un asset strategico e rilanciando gli investimenti, e spiega: «Le concessioni sono per oltre due terzi in mano pubblica, non possiamo permetterci di avviare gare che rischiano di essere frutto di operazioni speculative da parte di soggetti internazionali che non hanno nessun tipo di rapporto con le comunità territoriali. Se poi esiste un problema di reversal perché quell’obiettivo è già stato rendicontato e dobbiamo restituire una quota delle risorse del Pnrr perché quell’obiettivo non è stato raggiunto, anche se fosse una cifra consistente, credo non rappresenti un ostacolo insormontabile, è un costo che può essere redistribuito tra gli operatori. È un sacrificio per noi operatori, ma lo facciamo per il bene e per la sicurezza energetica, lo sviluppo e la competitività del Paese nella transizione energetica. E anche per non rischiare di perdere 6 o 7 anni di investimenti nella più importante fonte rinnovabile dell’Italia che ha un ruolo strategico anche nell’adattamento al cambiamento climatico. Possiamo costruire con tutti gli attori un percorso intelligente verso questo obiettivo».

A supporto, c’è anche l’appello-Manifesto “Uniti per l’idroelettrico italiano” di Elettricità Futura, firmato da associazioni di categoria, operatori, enti locali, sindacati, associazioni ambientaliste e dei consumatori, che chiede a Governo e Parlamento in nome della “sovranità energetica nazionale” di fare gli interessi del comparto industriale pubblico e della risorsa idroelettrica, prevedendo “meccanismi di assegnazione delle concessioni che non consentano la partecipazione degli operatori di Paesi che non presentano reali condizioni di apertura e di accesso al mercato paragonabili a quelle italiane”.

Del resto, nell'aprile del 2021 quando la norma fu inserita nel Pnrr, rileva ancora Argirò, era ancora aperta una procedura di infrazione e il quadro energetico (inter)nazionale era molto diverso. «Abbiamo quindi il doppio dovere di tutelare asset strategici nazionali e di rilanciare gli investimenti, creando nuove condizioni per nuovi grandi impianti idroelettrici le cui concessioni potranno essere assegnate con procedure competitive. Oggi non possiamo mettere a rischio di incognite e blocchi tanta produzione idroelettrica nazionale, per circa il 70% garantita da società pubbliche o da partecipate a forte controllo pubblico. Abbiamo costruito, sbagliando, ostacoli normativi allo sviluppo delle fonti rinnovabili e soprattutto nell’idroelettrico, pensando di avviare soli in Europa processi di liberalizzazione delle concessioni che nessun altro Paese europeo sta attuando e intende attuare». 

In realtà, nessun altro Paese europeo mette a gara concessioni così strategiche, e il nuovo Green deal europeo ci imporrà di continuare a investire sull’idroelettrico. «Per farcela - continua Argirò - non possiamo più restare paralizzati in attesa di procedure autorizzative dietro le quali ci sono sottovalutazioni e inspiegabili rimozioni dell’idroelettrico e priorità concesse solo ad altre fonti come il gas. Noi possiamo garantire molta più energia pulita con una forte accelerazione. Siamo pronti a mettere in campo investimenti enormi per garantire l’autonomia strategica energetica del nostro Paese. Restare fermi in attesa delle gare significa azzoppare per anni parte della sicurezza energetica nazionale. L’Italia, unica in Europa, può permettere l’arrivo di soggetti privati, soprattutto esteri, che fanno solo business e che magari non si faranno scrupoli per tagli di personale o di investimenti, di manutenzioni e di ammodernamento di impianti e non intendono avere nessun tipo di rapporto con le comunità territoriali? Possiamo fare gestire a Stati esteri un pezzo pregiato dell’autonomia energetica del Paese e della sicurezza nazionale? Sarebbe un suicidio. Per quale motivo solo l’Italia deve esporsi ad azioni speculative e alla perdita di controllo di asset così importanti? Che senso avrebbe?».

Che senso avrebbe in un Paese con la più antica tradizione nello sfruttamento dell’energia idroelettrica? Da un secolo e mezzo siamo l’avanguardia mondiale nello sviluppo di tecnologie che trasformano la forza meccanica dell’acqua in energia elettrica. Siamo stati i primi al mondo ad accendere 30 lampade a incandescenza che sostituirono i lucignoli a petrolio con una turbina azionata dall’acqua, nel settembre del 1883 nel cotonificio “Amman” di Chiavenna in provincia di Sondrio. Nel dicembre del 1888, a Sondrio presso il “Mulino Ongania”, e nel 1895 fu inaugurata la prima centrale idroelettrica italiana sull’Adda, a Paderno, realizzata dalla Edison. Da allora, il “carbone bianco” è stata la prima fonte nazionale di approvvigionamento energetico, favorita da tanti corsi d’acqua dalle dorsali appenniniche e soprattutto dall’arco alpino con forti pendenze decisive per impianti ad alta produttività. Nel Novecento, l’energia dell’acqua è stata centrale nello sviluppo produttivo ed economico, ma lo è e lo sarà ancor di più nella “transizione energetica” dalle fonti fossili verso le rinnovabili.

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.