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Le mani sulla Groenlandia. Dal navigatore greco Pitea al vichingo Erik il Rosso, dall’esploratore Amundsen alla minaccia del D-day di Trump a caccia di rotte e minerali rari riemersi dallo scioglimento dei ghiacci

 |  Editoriale

“Make America great again” anche a costo di annessioni di territori altrui e anche a mano armata o al limite con acquisti a suon di vagonate di dollari. La superspinta del sovranismo si è spinta in questo inizio 2025 ben oltre le frontiere statunitensi. Un Donald Trump sempre più a ruota libera ha festeggiato il ritorno alla Casa Bianca minacciando, dal suo quartier generale di Mar-a-Lago, nell’ordine: la presa del Golfo del Messico per farne il nuovo Golfo d’America, la sovranità sul Canale di Panama come nuovo Canale Usa, l’annessione forzata di un paese Nato come il Canada agli Stati Uniti, ma soprattutto di aggiungere la Groenlandia nuova stella alle 50 che rappresentano i 52 stati confederati degli Stati Uniti minacciando, in caso di un rifiuto dell’offerta economica che farà per l’acquisto, addirittura un ipotetico D-Day con l’invasione della più estesa terra artica e la maggiore isola del Pianeta con 2.175.600 km2, compresi i 44.800 delle isole costiere.

Trump ci aveva abituato a tutto nel primo mandato dal 2016 al 2020 con la sua agenda shock, e tra i bluff c’era già l’acquisto della Groenlandia scaricata tra le trumpate e rimasta solo negli annali dei suoi post sui suoi canali social e nell’eccitazione dei suoi fans per gli annunci sempre più eclatanti. Ma, al di là dell’enormità della minaccia dell’uso della forza militare pur di piantare la bandiera a stelle e strisce sulla terra ancora ricoperta per l'84% da ghiacci e con insediamenti e attività umane nelle sole zone costiere, gli strateghi trumpiani riconoscono l’importanza geo-strategica dell’isola nel Regno di Danimarca e grande 7 volte l’Italia, collocata nell'estremo nord dell’Atlantico tra il Canada, l’Islanda e l’Artide e con il mar Glaciale Artico a nord, con i suoi 0,03 abitanti per km², in tutto appena 56.865 abitanti e quasi tutti di fiera etnia Inuit, è la nazione meno densamente popolata del Pianeta. Gli Inuit sono soprattutto cacciatori e pescatori molto attenti alla tutela e alla sovranità del loro territorio, e quasi tutti abitano nei dintorni o nella loro capitale Nuuk.

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L’isola è stata una colonia norvegese fino al 1814, l’anno in cui passò sotto il controllo dei danesi diventando nel 1953 parte del Regno di Danimarca. Nel 1979 le venne concesso l’autogoverno ma con il re danese rimasto capo di Stato. Ha fatto parte della Comunità economica europea dal 1973 fino all’uscita dopo il referendum nel 1982 e, dopo un secondo referendum, nel 2008 le sono state trasferite competenze legislative, giudiziarie e di gestione delle risorse naturali come inizio di una transizione verso l'indipendenza. La Danimarca in ogni caso oggi ha il controllo sulle finanze, sulla politica estera e sulla difesa militare e versa un sussidio annuale di 3,4 miliardi di corone. E tutti fanno ovviamente muro di fronte al nuovo imperialismo yankee, dalla premier danese Mette Frederiksen che ribadisce: “La Groenlandia è dei groenlandesi. Non è in vendita!” al re Frederik che ha fatto aggiungere in fretta allo stemma reale della Danimarca anche i simboli della Groenlandia e delle isole Faroe, a Mute Egede capo del governo dell’isola artica che ribadisce nella sua lingua inuit, il kalaallisut, in danese: “La Groenlandia appartiene al popolo groenlandese. Il nostro futuro e la lotta per l’indipendenza sono affari nostri. Il futuro è nostro e sta a noi plasmarlo.

Ma tra chi sente un brivido scorrere lungo la schiena e chi ironizza perché una risata seppellirà anche le boutade come fa il Vernacoliere sparando il titolo “Trampe vole Marina di Bibbona, ma Livorno frena: bevi meno ponci. E Elo Maske punta a Pisa!”, tra chi archivia come fantapolitica l’escalation degli annunci del tycoon e chi ne attacca l’arroganza e chi fa finta di nulla come l‘Europa di Bruxelles, emerge la strategia chiara del prossimo presidente Usa. Dietro le sparate da Far West, esattamente come dietro l’annuncio della seconda uscita dagli accordi sul clima di Parigi, ci sono le difese a catenaccio degli interessi finanziari delle old e delle new economy statunitensi, i vantaggi militari e le utilità commerciali di un’area che sta acquisendo un valore strategico insperato e crescente e sulla quale Trump vuole giocare la fiches della nuova “sovranità globale” statunitense. E se l’impalpabile Europa assiste dagli spalti - un nuovo caso dopo le tecnologie satellitari strategiche e cruciali con la corsa al primato spaziale e alle telecomunicazioni tra i ritardi europei e lo sprint di Starlink  di Musk - la partita sul campo dell’Artico si gioca tra Cina e Russia e gli Usa di Trump che vuole l’area inglobando quell'immensa e appetibile isola dei tesori minerali che il cambiamento climatico fa tornare a portata di scavo.

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L’isola sta ospitando la grande base aerea militare della United States Air Force posta a 1.118 km a nord del Circolo polare artico e a 1.524 km a sud del Polo Nord, con il suo sistema di difesa missilistico. Ha preso il nome dalla leggendaria isola di Thule che per la prima volta venne descritta negli antichissimi diari di viaggio dell’intrepido Pitea, l'esploratore e navigatore e scrittore della Grecia antica che nel 325 avanti Cristo per primo provò a superare le Colonne d’Ercole affrontando i mari del gelido Nord senza certezza di ritorno, alla ricerca di nuove rotte e terre.

Pitea, da temerario navigatore e geografo, era un greco della colonia di Massalia sui cui resti oggi c’è Marsiglia. Da coraggioso avventuriero, negli anni di Aristotele e di Alessandro Magno, salpò con un manipolo di scaltri marinai alla scoperta di una nuova rotta per raggiungere le miniere della Cornovaglia per rifornire di prezioso stagno, tra i primi metalli scoperti e usato come legante del rame per formare la lega del bronzo, superando i blocchi navali dei nemici cartaginesi. La sua audace navigazione è documentata da Strabone, Diodoro e Plinio che riuscirono a leggere il suo diario di bordo intitolato “Intorno all’oceano” o “Sull’Oceano”, di cui restano soli pochi frammenti. Il resoconto del suo viaggio era però noto anche a geografi e matematici come Dicearco, Eratostene e Ipparco che utilizzarono le sue osservazioni su mari e maree, correnti e terre scoperte da Pitea e dai suoi marinai, i primi esseri umani a superare il Circolo Polare Artico.

Il suo resoconto era talmente stupefacente che lo storico greco antico Polibio lo bollò come un mentitore, ma persino Strabone certificò le sue scoperte di “recessi inabitabili”. Si sa quindi che con la sua imbarcazione riuscì a varcare i limes dello Stretto di Gibilterra e a inoltrarsi nell’Atlantico, che superò la Manica circumnavigando l’Inghilterra e raggiunse i freddi mari del Nord alla ricerca della “terra di Thule”, forse la Norvegia o l’Islanda o le isole Shetlands. Dopo giorni di durissima navigazione, finalmente la videro e attraccarono e descrisse nel diario fenomeni allora sconosciuti come l’aurora boreale e il sole a mezzanotte. Da Thule, dopo un altro giorno di navigazione verso Nord, avvistarono le immense “isole di ghiaccio”, probabilmente la Groenlandia. E scrive Strabone nella sua Geografia: “Pitea parla anche [...] di quei posti dove la terra, propriamente parlando, non esiste più, e neppure il mare o l’aria, ma un miscuglio di questi elementi, come un “polmone marino”, nel quale si dice che la terra e l’acqua e tutte le cose sono in sospensione”.

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Dopo l’impresa di Pitea, solo il navigatore normanno Gunnbjørn Ulfsson avvistò la Groenlandia dopo aver perso la rotta navigando dalla Norvegia all’Islanda e avvistò quelli che oggi sono gli “scogli di Gunnbjørn” decidendo però di non sbarcare. Ma un secolo dopo, nel 985, riuscirono a raggiungere le coste meridionali dell'isola altri coraggiosi navigatori vichinghi salpati con le loro imbarcazioni a remi e a vela, lunghe 25 metri e larghe 3,5 metri, simmetriche e con poppa e prua identiche e che riuscivano a resistere alle burrasche affrontando onde alte anche quindici metri e venti fino a 240 km/h e correnti di marea fino a 8 nodi. Tante navi della loro flotta andavano fuori rotta, finirono disperse o intrappolate per sempre tra i ghiacci. Ma le saghe norrene raccontano l’impresa guidata da Erik Thorvaldsson, conosciuto come “Erik il Rosso" per il colore dei capelli e della barba. Era un guerriero capoclan esiliato dall’Islanda e che, in pieno Optimum climatico medioevale con un clima più caldo e mari liberi da ghiacci, affrontò le burrascose acque dell’Atlantico settentrionale raggiungendo l’isola che in quel tempo, era talmente ricoperta da foreste lussureggianti da chiamarla “Grønland” ovvero “Terra Verde”. Erik si stabilì con i suoi guerrieri nei fiordi più riparati, richiamando poi famiglie e altri coloni e aumentando la popolazione fino a raggiungere circa 5 mila groenlandesi che vissero tra i villaggi e le fattorie allevando mucche, capre e pecore, commerciando avorio di tricheco in cambio di metalli e altri alimenti.

Dopo quasi quattro secoli, però, la fase cosiddetta della “Piccola Era Glaciale” costrinse molti vichinghi groenlandesi ad abbandonare la Groenlandia ormai tornata di ghiaccio, e fecero vela verso l’Islanda. Rimasero però sull’isola gli straordinari e resistenti Inuit, il popolo dell’Artico, uno dei due gruppi di Eschimesi - con gli Yupik - fieri colonizzatori di suoli ghiacciati.

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I ghiacciai della Groenlandia ritornati di nuovo immobili, solidi, statuari come una Barriera del Grande Inverno, furono solo sfiorati dalle epiche spedizioni marittime di Vasco de Gama, Cristoforo Colombo, Ferdinando Magellano, Giovanni Caboto o James Cook che facevano vela verso le terre più incognite e calde e anch’esse non segnalate o mal segnalate sulle carte nautiche e sulle mappe geografiche, con rotte di navigazione indicate da strumenti rudimentali e spesso guardando le stelle del cielo per orientarle.

L’isola più grande del mondo assume oggi un ruolo strategico nella competizione geopolitica e geoeconomica. L’inesorabile scioglimento dei ghiacci, infatti, agevola lo sfruttamento delle sue straordinarie risorse minerarie e rende di nuovo navigabili quasi tutto l’anno le rotte oceaniche riducendo tempi e costi grazie soprattutto all’epico “Passaggio a Nord Ovest” che collega l’Oceano Atlantico al Pacifico nell’emisfero boreale, passando dall’arcipelago del Canada e all’interno del Mar Glaciale Artico.

Fino al 1905 il “passaggio” era coperto e bloccato da coltri di ghiacci anche se le compagnie di navigazione sognavano la “scorciatoia” che avrebbe fatto risparmiare almeno 4.000 km di navigazione e enormi costi di navigazione dall’Europa all’Estremo Oriente passando dal Canale di Panama. La sua riconquista è stata un’altra lunga storia di naufragi, equipaggi dispersi, spedizioni fallite come quella di Giovanni Caboto nel 1497 o finite molto male come quella che l’8 agosto 1583 autorizzò Elisabetta I facendo salpare una nave nelle acque atlantiche agli ordini dell’esperto comandante John Davis che nessuno ha più rivisto, o quella del 1845 con due navi guidate da Sir John Franklin che tentarono di forzare i ghiacci artici dalla Baia di Baffin al Mare di Beaufort passata alla storia come un’altra “spedizione perduta”.

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Riuscì però nell’impresa, nel 1906, l’esploratore norvegese Roal Amundsen vivo per miracolo visto che saltò appena in tempo sulla Gjöa, un peschereccio per aringhe, per sfuggire ai suoi creditori che lo volevano morto. Dopo tre anni di viaggi sul peschereccio di 47 tonnellate di stazza, navigando sulle acque atlantiche e entrato nel mare dell’Alaska arrivò nella città da dove inviò il telegramma che annunciava il successo della nuova rotta. Ma il primo passaggio venne effettuato solo nel 1944 dalla ST. Roch della Royal Canadian Monthed Police. Fino al 1970, solo le navi oceanografiche hanno potuto affrontare il Passaggio a Nord-Ovest munite di prue rompi-ghiaccio polari. Poi ci riuscì qualche super-petroliera, finché nel 1984 la nave da crociera “MS Explorer” fu la prima a compiere l’intera traversata. Nel 2009, 9 barche da diporto e 2 navi da crociera riuscirono a navigare grazie alla quasi assenza di ghiacci. E fece l’impresa anche la prima barca a vela italiana, la Best Explorer di Nanni Acquarone, che partì il 1 giugno 2012 e arrivò a King Cove, in Alaska, il 13 ottobre, dopo aver percorso 8.200 miglia nautiche quasi sulla stessa rotta di Amundsen. Ma i livelli minimi di ghiaccio erano ormai tali da rendere navigabile la via d’acqua più veloce tra l’Europa e l’Asia, dove dal 2013 il ghiaccio quasi non c’è più. Cosicché, dal porto di Anchorage in Alaska in circa un mese oggi si raggiunge New York. Non passando più da Sud e attraversando il Canale di Panama, ma dal Mare Artico, e questo dà la misura dl Polo circumnavigabile, una realtà solo sognata dalle generazioni che ci hanno preceduto. Grazie al clima cambiato si navigherà ormai per gran parte dell’anno e, non a caso, sul tratto che costeggia il Canada, gli Usa stanno rivendicando anche lo status di “acque internazionali” che consentirebbe anche il passaggio delle navi militari senza alcun controllo.

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Il riscaldamento globale sta facendo ritornare i suoli accessibili e sta accelerando lo sfruttamento dei sottosuoli. Sugli oltre 2 milioni di chilometri quadrati di territorio dell’enorme isola di Groenlandia è già corsa alla conquista delle materie prime. Oltre i suoi giacimenti fossili. con il 30% delle riserve mondiali di gas e il 13% di petrolio, custodisce il 20% delle terre rare del Pianeta e possibilità di scoperte di vene e giacimenti di oro, rubini, diamanti, zinco. Ci sono riserve sotterranee di metalli rari come il molibdeno che fuso con l’acciaio in piccole dosi ne migliora le qualità, come il terbio essenziale nel settore della difesa per la produzione dei magneti, come la gigantesca riserva di uranio classificata la quinta più grande al mondo, come la grafite o il titanio con rocce magmatiche ricche di feldspati usati in vari settori ma soprattutto per produrre componenti tecnologiche come i microchip. Gli Usa di Trump sognano di perforare e fratturare, al suono di “drill e frack” per ridurre il monopolio della Cina, e di trasformare, come scrive il New York Times, la più grande isola nell’“Arabia Saudita del nickel o del titanio”.

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Ma anche Pechino ha gli occhi sulla Groenlandia nella corsa alla conquista dell'Artico. E in ogni caso, se le operazioni estrattive nell'isola artica erano impossibili per i ghiacci lo sono anche per le norme a tutela degli ecosistemi con un centinaio di licenze attive ma con reiterati divieti di estrazione per molte altre società comprese le big con azionisti Bill Gates, Jeff Bezos e Michael Bloomberg che chiedono di poter sfruttare risorse di nickel, cobalto, platino e rame. È un tesoro immenso di materie prime che lo studio geologico del 2023 del governo danese elenca con 25 materiali considerati “strategici” dalla Ue, dalla grafite con giacimenti da 6 milioni di tonnellate sufficienti a soddisfare il fabbisogno globale delle auto elettriche per decenni ai 36 milioni di tonnellate di terre rare in grado di ridurre o annullare il predominio cinese nei settori più avanzati da fornitore anche degli Usa per oltre il 70% e dell'Europa per il 100%. 

Se ci sono ancora montagne di ghiacci e possenti iceberg che galleggiano, si sciolgono, si staccano modificando profili costieri, la Groenlandia ha perso dal 1985 cinquemila chilometri quadrati di ghiaccio che si sono sciolti e dispersi in mare, calcola la Nasa, con scioglimenti superiori del 20% rispetto alla fine del secolo scorso che provocano un innalzamento costante del livello oceanico e marino – tra 1 o 2 metri a fine secolo -, il collasso delle preziose correnti oceaniche come la “Circolazione Meridionale dell'Atlantico”. Le foto satellitari della posizione dei ghiacciai della Groenlandia dal 1985 mostrano il loro accorciamento dagli ultimi decenni. Con tecniche di intelligenza artificiale sono state mappate oltre 235mila posizioni terminali dei ghiacciai negli ultimi 38 anni dimostrando che la calotta glaciale groenlandese ha perso circa cinquemila kmq di ghiaccio, circa 30 milioni di tonnellate all'ora.

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Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.