Leggetela bene l’intervista di greenreport al Presidente di Legambiente, Stefano Ciafani. L’entrata a gamba tesa nell’imbarazzante melina politica e del governo sui temi ambientali e sul che fare contro la crisi climatica, e il nuovo “Grean deal per l’Europa” indicano la nuova “discesa” in campo della più organizzata e trasversale associazione ambientalista.
Una necessità nella rimozione generale della questione ambientale, in un’Italia che continua a confermarsi tra i territori del pianeta più esposti ai rischi climatici con vittime e danni incalcolabili, ma che preferisce rimuovere e parlar d’altro, far finta che non esista nemmeno il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici adottato, con le sue urgenti 361 azioni di adattamento, mitigazione e prevenzione, in 27 settori critici.
Ciafani giustamente lo indica come centrale, è “il piano dei piani”, eppure chi lo cerca non lo trova. Nessuno ne parla, non è finanziato, non ha una governance, è l’oggetto misterioso collocato nel sito del Ministero competente, quello dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.
Era il 10 agosto scorso, giorno in cui tutti tirammo un sospiro di sollievo. Sembrava fatta. Finalmente, dopo quasi un decennio di navigazione, i ministri dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, e della Cultura, Gennaro Sangiuliano, firmarono il decreto che mise fine all’estenuante procedura iniziata nel 2016 e alla fase di Valutazione ambientale strategica, dopo due sfibranti fasi di aggiornamento nel 2018 e poi nel 2022.
Il Piano è molto ben fatto, è bell’e pronto, ha un quadro chiaro e dettagliato sia dei rischi (molti) che delle opportunità (moltissime), con la certezza di poter ridurre i danni investendo molto meno di quanto potremmo spendere in futuro in tutti i macro-settori lasciati alla mercé del clima (acqua, desertificazione, dissesto idrogeologico, biodiversità, salute, foreste, agricoltura, pesca, porti e zone costiere, turismo, insediamenti urbani, infrastrutture, trasporti, energia).
Eppure, dopo essere stato sottoposto alle più lunghe revisioni e aggiornamenti di tutti i tempi, manca decisamente quel clima da grande impresa nazionale.
Servirebbe la capacità di farne il cuore della coesione nazionale, un nuovo Piano Marshall, inglobando e risollevando anche le sorti di un Pnrr che sta rischiando un tristissimo flop. Servirebbe renderlo immediatamente pubblico e operativo, farne la bussola del futuro e coinvolgendo l’Italia intera nella pianificazione “a terra” di opere e azioni per salvare l’Italia dalle peggiori devastazioni climatiche, allineando tutti i fondi dedicati e non spesi di tutti i ministeri e regioni, mettendolo in connessione con la cornice finanziaria del Pnrr, con i piani europei e il Green deal soprattutto.
Gli obiettivi tracciati nel Piano possono trasformarsi in prospettive concrete di investimenti e quindi di crescita e di occupazione. Chi resta fermo, sceglie la via del declino.
Ma anche questo governo colleziona perdite di tempo. Sapendo che i prossimi dieci anni, come avvertono scienziati e climatologi, sono quella strategica “finestra” utile per poter intervenire su difese e protezioni, dopodiché, stando fermi, faremo la fine degli orsi polari in bilico sui lastroni di ghiaccio in fusione.
Ecco perché Legambiente ha ragione da vendere rilanciando la grande sfida che è insieme culturale, ambientale, tecnologica, infrastrutturale e industriale. Prima che sia troppo tardi.
LEGGI QUI LA VERSIONE INTEGRALE DEL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE, "UN NUOVO GREEN DEAL PER L'EUROPA": https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2024/05/Un-nuovo-green-deal.pdf