L'insostenibilità dell'analfabetismo funzionale è «una preoccupazione crescente per le democrazie». Ocse-Piaac: il 70% degli adulti italiani senza competenze minime per affrontare il mondo contemporaneo
Il secondo ciclo dell’Indagine sulle competenze degli adulti realizzata dall’Ocse nell’ambito del programma Piaac – e condotta nel 2022-23 in Italia dall’Inapp, su incarico del ministero del Lavoro – ha appena sfornato i primi risultati, restituendo un quadro di grande scoraggiamento per il nostro Paese.
L’indagine si è svolta su un campione di adulti di età compresa tra 16 e 65 anni, in 31 Paesi ed economie, con l’obiettivo di misurare quelle competenze che «consentono alle persone di affrontare in modo adeguato la vita quotidiana e di partecipare pienamente all’economia e alla società». In particolare si parla delle capacità di lettura e comprensione di testi scritti (literacy), delle capacità di comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche (numeracy) e delle capacità di raggiungere il proprio obiettivo in una situazione dinamica in cui la soluzione non è immediatamente disponibile (adaptive problem solving).
Considerando in modo congiunto i tre domini, il 26% degli adulti in Italia (media Ocse 18%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1, ovvero oltre un quarto della popolazione adulta rientra tra i cosiddetti “low performers”. È necessario sottolineare che non si tratta “solo” di titoli di studio (il 20% degli adulti ha almeno una laurea, il 38% non raggiunge il diploma) ma di vere e proprie competenze.
In nessun punto del rapporto si parla esplicitamente di “functional illiteracy”, cioè di analfabetismo funzionale – ovvero l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana – ma non è difficile ricavare la dimensione del fenomeno in Italia. Limitando l’analisi al dominio della literacy, sono 6 i livelli in cui vengono suddivisi i punteggi dell’analisi Piaac, da “inferiore a 1” (dove ricadono le persone che sono in grado di comprendere, al massimo, frasi brevi e semplici) a 5 (gli high perfomer). In Italia il 10% degli adulti è nel livello inferiore a 1, il 25% nel livello 1, il 35% nel livello 2, il 24% ricade nel 3 e il 5% nel livello 4 e superiore.
In altre parole il 70% degli adulti italiani (dal livello inferiore 1 al 2) non ha le competenze minime per comprendere, valutare e usare le informazioni che riguardano l’attuale società, come già denunciato negli anni scorsi dal Forum Ambrosetti, dall’Istituto Cattaneo e anche da greenreport, grazie ai contributi dell’esperta Vittoria Gallina che ha contribuito allo svolgersi delle indagini Ocse-Piaac.
Tra i Paesi oggetto dell’indagine solo Cile, Lituania, Polonia e Portogallo si posizionano con risultati significativamente inferiori al di sotto del punteggio in literacy del nostro Paese, il che accentua in Italia quella che l’Ocse battezza come «una preoccupazione crescente per le democrazie moderne».
Le competenze hanno infatti un impatto importante sulla vita. In generale, livelli di competenza più elevati comportano vantaggi economici e sociali significativi, e sono strettamente correlati sia al benessere individuale (ad es. salute autopercepita e soddisfazione per la vita) sia all'impegno civico (ad es. efficacia politica, fiducia e volontariato).
«Molti adulti con ridotte competenze si sentono esclusi dai processi politici e non hanno le competenze necessarie per interagire con informazioni complesse in ambiti digitali», sottolinea l’Ocse, e non a caso in Italia gli adulti che hanno raggiunto il livello 4 e superiore hanno anche più frequentemente dichiarato di essere molto d’accordo con l’affermazione "ci si può fidare della maggior parte delle persone" (all’opposto di "bisogna stare molto attenti").
È dunque evidente come la relazione tra competenze e fiducia incida in modo deciso, nel caso italiano, sulla diffusione delle sindromi Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato elettorale) che frenano ovunque gli impianti utili alla transizione ecologica – da quelli per l’economia circolare alle fonti rinnovabili – per mancanza di fiducia verso le imprese proponenti e verso le istituzioni pubbliche preposte a controllarle. Più in generale l’intero impianto concettuale dello sviluppo sostenibile, complesso per definizione in quanto intreccia più dimensioni tra loro interagenti (ambientale, sociale, economica), risulta ostico da digerire se il 70% della popolazione è analfabeta funzionale o comunque con competenze minime.
Tanto più che in Italia, rispetto all’indagine Piaac 2011-12, la quota degli adulti con ridotti livelli di competenza in literacy (punteggio al livello 1 e inferiore) è aumentata, mentre quella con livelli di competenza elevati (punteggio ai livelli 4 e superiore) è rimasta solo stabile.
All’interno di un quadro simile sono davvero poche le buone notizie. Semmai, è possibile individuare gli aspetti più urgenti su cui intervenire, ovvero le disuguaglianze sotto il profilo geografico e intergenerazionale.
I residenti nel nord e nel centro d’Italia riescono infatti spesso a raggiungere punteggi di competenza pari a quelli della media Ocse, al contrario di quanto accade nel Mezzogiorno che presenta valori sempre significativamente inferiori alla media italiana; allo stesso tempo le persone di 55-65 anni mostrano i valori di competenza nettamente più bassi rispetto ai giovani di 16-24 anni. Servono dunque maggiori investimenti sull’istruzione, soprattutto al sud – ma guardiamo il bicchiere mezzo pieno, visti i risultati dei giovanissimi la scuola funziona, nonostante tutto! – e anche in life-long learning, perché anche dove la scuola funziona, le competenze acquisite declinano se non vengono rinforzate nel corso dell’età adulta. Il
Un problema, quest’ultimo, che interroga anche la qualità dell’offerta di lavoro nazionale. Nei Paesi dell’Ocse molti lavoratori non sono in linea (mismatched) con quanto richiesto dal lavoro che svolgono, ma in Italia in particolare non solo il 18% è sottoqualificato, ma il 15% dei lavoratori è sovra-qualificato, ovvero non è riuscito a trovare un’occupazione che riesca a valorizzare le competenze acquisite. Anche in questo caso la diffusione dei lavori verdi (green job) potrebbe e dovrebbe dare una mano.