Le aree idonee alle rinnovabili in Sardegna si fermano all’1%: l’isola resta alla canna del gas
Con 35 voti a favore – compresi quelli del Partito democratico (Pd) e di Alleanza verdi sinistra (Avs) – e 14 contrari, il Consiglio regionale della Sardegna guidata dalla presidente Alessandra Todde (M5S) ha approvato ieri il Dl 45 “Disposizioni per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili”.
Il decreto mette così fine alla moratoria di 18 mesi ai nuovi impianti rinnovabili, che venne presentata da Todde come semplice strumento per consentire poi uno sviluppo organico e controllato delle rinnovabili sull'isola. Risultato? A decreto approvato, appena l’1% circa del territorio sardo risulta oggi idoneo agli impianti rinnovabili, come denunciato da mesi dalle associazioni ambientaliste quanto dall’intera filiera elettrica nazionale rappresentata in Confindustria: un fragoroso schiaffo al Green deal che stringe ancora più saldamente la Sardegna nell’abbraccio dei combustibili fossili.
La Giunta sarda non è riuscita a contrastare la martellante campagna di disinformazione condotta contro le rinnovabili “a tutela del paesaggio”, nello stesso territorio dove una devastante siccità è stata resa il 50% più probabile da quella crisi climatica che proprio le energie rinnovabili sarebbero chiamate a combattere.
«Siamo la prima Regione d’Italia ad approvare una legge sulle aree idonee – dichiara con orgoglio Todde – con circa 3 mesi di anticipo rispetto alla nuova scadenza prevista dal Governo. La Sardegna, da tempo considerata un fanalino di coda, oggi diventa un modello di tutela e pianificazione del territorio per le altre Regioni italiane». Un problema non da poco perché, se davvero le altre Regioni seguissero la linea sarda, già si stima che il 96% dell’Italia risulterebbe inidoneo agli impianti rinnovabili, frantumando in un colpo solo le ambizioni di transizione ecologica quanto la possibilità di conseguire risparmi economici in bolletta per imprese e cittadini.
È utile ricordare che definire un’area idonea non significa consentire d’emblée l’installazione di impianti di energia rinnovabile, bensì garantire procedimenti amministrativi più speditivi per il rilascio delle necessarie autorizzazioni. Al contempo identificare un’area come non idonea non equivale a porre un divieto assoluto alla realizzazione di impianti, bensì mette in evidenza una valutazione di incompatibilità ex ante compiuta dalle amministrazioni del territorio. Di fatto però per Todde «tutti gli impianti, sia quelli nuovi che quelli in corso di autorizzazione, potranno essere realizzati solo se ricadenti nelle aree idonee».
Con manifesta incoerenza, in un’intervista rilasciata oggi a il manifesto Todde conferma comunque che «l’obiettivo è raggiungere i 6,2 GW richiesti alla Sardegna dal burden sharing entro il 2030, contribuendo per la nostra parte al Pniec», anche se non è chiaro dove questi impianti potranno trovare posto. Sicuramente non basteranno i tetti – dove peraltro l’elettricità prodotta da fotovoltaico costa il triplo rispetto agli impianti a terra utility scale – anche perché ad oggi la Sardegna è penultima in Italia per raggiungimento dell’obiettivo al 2030 con appena il 13,9% conseguito. Di certo c’è solo cosa pensa di fare nell’immediato la Giunta sarda: affidarsi ancora di più al gas fossile che alimenta la crisi climatica, con la stessa Todde a spiegare al manifesto di essere «in costante contatto con il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e stiamo definendo i dettagli del piano per la metanizzazione e la decarbonizzazione».
Al di là delle pianificazioni, il livello dello scontro tra la Giunta e i sostenitori delle rinnovabili è destinato ora a spostarsi nelle aule di tribunale. Bloccando di fatto la transizione ecologica, il dl approvato dal Consiglio regionale sardo si pone in contrasto con la normativa europea ma anche con quanto deliberato due settimane fa dal Consiglio di Stato, secondo il quale le Regioni non possono individuare aree idonee in modo più restrittivo di quanto già previsto a livello nazionale dal decreto legislativo 199/21, almeno fino all’udienza in programma al Tar del Lazio il prossimo 5 febbraio.
Soprattutto, c’è già un recente quanto importante precedente – quello sull’autonomia differenziata – che lascia già intuire quale potrebbe essere l’esito finale. «Non credo che questa legge sopravviverà alla mannaia della Corte Costituzionale – spiega a greenreport Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto club – Infatti, il paradosso è che la Corte, dando ragione a quelle Regioni (tra cui la stessa Sardegna) che avevano fatto ricorso contro “l’autonomia differenziata” voluta dal Governo nazionale, ha spiegato molto chiaramente nelle motivazioni che l’energia non è una materia delegabile alle Regioni».
Intanto, dopo il passo indietro della Sardegna le altre regioni guardano dalla finestra: a gennaio scadono i termini indicati dal Governo Meloni per la presentazione delle varie leggi locali sulle aree idonee, ma il ministro Pichetto ha già fatto sapere che non applicherà penalità alle regioni inadempienti. Così, ancora una volta a guadagnarci è solo “l’inazionismo” che favorisce lo status quo delle fonti fossili, a tutto discapito dello sviluppo sostenibile italiano.