Rinnovabili, può un’area idonea diventare di colpo non idonea per volontà regionale? No, per il Consiglio di Stato
Le Regioni non possono identificare come «non idonee» aree che in base alla legislazione vigente dal 2021 sono state finora considerate «idonee» all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Dal Consiglio di Stato arriva una conferma giuridica di quella che ambientalisti e soggetti operanti nel settore dell’elettricità da tempo sostenevano essere un’ovvietà di buon senso.
La vicenda prende le mosse dall’approvazione da parte del governo Meloni del decreto Aree idonee, fortemente criticato da più parti perché di fatto rappresenta una delega in bianco alle Regioni per rivedere le regole sulle rinnovabili anche in modo retroattivo e presenta evidenti profili di illegittimità. Il Tar del Lazio terrà il 5 febbraio 2025 un’udienza pubblica per decidere sui ricorsi presentati da diversi operatori attivi nel mercato dell’energia contro il decreto ministeriale. Ma intanto il Consiglio di Stato ha sospeso in via cautelare, fino alla conclusione del giudizio di merito del tribunale amministrativo, un passaggio del decreto ministeriale sulle Aree idonee approvato nel giugno 2023 dal governo Meloni, che dà alle Regioni la facoltà di considerare non idonee anche le aree giudicate idonee dal Decreto legislativo 199 del 2021. I giudici d’appello hanno evidenziato che le Regioni non possono definire le aree idonee in senso più restrittivo rispetto a quanto stabilito in via transitoria dal decreto legislativo, finché la causa non è decisa nel merito.
In particolare, l’ordinanza del Consiglio di Stato (che è possibile consultare nella sua integrità nel Pdf allegato alla fine dell’articolo) sospende l’articolo 7 comma 2 lettera c) del decreto Aree idonee, che «dà la “possibilità di fare salve le aree idonee di cui all’art. 20, comma 8” del decreto 199/2021 chiarendosi che tali aree rimarranno disciplinate dall’art. 20 comma 8 del d. lgs. 199/2021 stesso sino al termine di efficacia di quest’ordinanza». Perché questa sospensione? Perché, proprio per come è stato scritto il decreto del governo Meloni, le Regioni hanno la facoltà di avvalersi o anche di non avvalersi di tale «possibilità», e quindi di confermare come «idonee» determinate aree per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili ma anche di modificarne lo status e quindi definirle «non idonee».
L’ordinanza del Consiglio di Stato arriva mentre diverse giunte e consigli regionali stanno discutendo la materia, in primis quelli della Sardegna. Nel testo messo a punto dai giudici della quarta sezione del tribunale amministrativo di secondo grado si avvisano le Regioni che «fatto salvo l’esercizio da parte della Regione dell’autonomia legislativa che le spetta in base alla Costituzione» dovranno tenere «conto della sospensione della norma del decreto ministeriale operata con quest’ordinanza». Secondo l’organo giuridico-amministrativo, infatti, «la norma in questione appare, al sommario esame proprio di questa fase cautelare, non pienamente conforme all’articolo 20, comma 8, del decreto legislativo 199/2021, il quale già elenca le aree contemplate come idonee: in tale disciplina di livello primario non sembra possa rinvenirsi spazio per una più restrittiva disciplina regionale».
I giudici, inoltre, non ritengono sussista «il contrasto con gli obiettivi del Pnrr paventato dalla difesa dell’amministrazione» anche perché, tra l’altro, «il decreto impugnato continua a vigere nella sua interezza, salva la norma sospesa». Inoltre, viene sottolineato, «sarebbe semmai la disposizione sospesa ad andare in senso contrario, dato che potrebbe introdurre una componente di incertezza in un quadro già definito dalla norma di legge».
Secondo i giudici che hanno accolto la sospensiva chiesta nei ricorsi presentati nei mesi scorsi da Anev, con quindici operatori eolici, Erg e altre società che operano nel settore delle energie rinnovabili, «le Regioni sono tenute a provvedere con un atto legislativo, ancorché di contenuto sostanzialmente amministrativo»: «Quest’atto, come è ben noto, è sindacabile soltanto avanti la Corte costituzionale, nei limiti previsti per questo rimedio, che non sono esattamente sovrapponibili a quelli consentiti dall’ordinaria impugnazione di un atto amministrativo. Di conseguenza, in mancanza della tutela cautelare, una decisione di merito potrebbe intervenire in un momento in cui i progetti di interesse della parte appellante potrebbero essere non più realizzabili per effetto della legge regionale sopravvenuta, con lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale».
Bisognerà ora attendere il pronunciamento del Tar, il 5 febbraio, ma intanto Agostino Re Rebaudengo, che alla guida di Elettricità futura ha portato avanti la battaglia contro il pacchetto rinnovabili messo a punto dal governo (decreto Aree idonee, ma anche decreto Agricoltura e soprattutto Testo unico Fer), esprime soddisfazione per questo passaggio giuridico: «Da mesi e con molteplici azioni, anche legali, lavoriamo affinché le aree idonee ex lege continuino ad essere tali nelle leggi regionali, e si realizzino i progetti necessari al target 2030. La partita non è finita, ma intanto il Consiglio di Stato ha accolto la nostra richiesta».