Euro-autogol? Dal Green Deal al Grey Deal? L’Europa a pezzi che non ti aspetti con Ursula von der Leyen 2. A rischiare sono soprattutto le politiche climatiche. Eppure mai come oggi conviene ripartire dagli investimenti green.
Con appena 370 voti, da record storico negativo per un esecutivo europeo mai così in basso nei consensi di 688 votanti che ha raggiunto a malapena il 53,78% dei Sì - che sarebbe poi il 51,39% sulla totalità dei parlamentari - è stato toccato lo sprofondo rispetto a cinque anni fa, quando i Sì a von del Leyen raggiunsero quota 461. Ma l’europarlamento di oggi vede tutti i gruppi - dai Socialisti ai Liberali, dai Verdi ai Popolari e i ringalluzziti Conservatori dell’Ecr - attraversati da tensioni, divisioni, fratture interne. Segno evidente di una generale navigazione in mare aperto e, senza una bussola che indichi coordinate e rotte, la von der Leyen potrebbe virare nella scelta di decidere a turno a quale maggioranza chiedere sostegni e voti con un europarlamento paralizzato su questioni vitali.
Specchio di questo inedito caos e stasi politica è lo stesso programma della von der Leyen presentato senza un asse portante, un’idea forte, una prospettiva chiara come quella lanciata con orgoglio europeo cinque anni fa con al centro il Green Deal e la grande epocale battaglia per la transizione ecologica, per l’adattamento al nuovo clima e su questo il rilancio delle economie e dell’occupazione, per politiche sociali innovative che nel 2020 portarono al lancio con 750 miliardi di eurobond dei mega-investimenti del Pnrr. Le nuove emergenze - soprattutto l’occupazione brutale dell‘Ucraina e le tribali angoscianti guerre ai confini - rischiano di declassare gli investimenti per l’ambiente e la lotta climatica. Abbiamo addirittura ascoltato appelli al trasformismo con alleanze europarlamentari piuttosto fluide nella frase rivelatrice: “il compromesso è il messaggio del nostro lavoro”.
La presidente rieletta assicura che il programma della sua nuova commissione sarà inevitabilmente ispirato dall’unico - e credibile - scenario disegnato dal “Rapporto Draghi”, considerato la “bussola” che orienta verso la competitività per “colmare il divario di innovazione con Cina e Usa”, e per proseguire con la “decarbonizzazione”. Conferma il Green Deal ma abbraccia nello stesso tempo anche richieste anti-Green Deal annunciando un “Clean Industrial Deal” per imprese e lavoratori che potrebbe ammorbidire e rallentare le politiche per la transizione ecologica.
Insomma, dalle ambizioni di quattro mesi fa alla nascita della “maggioranza Ursula” con linee di programma green, quattro mesi dopo il quadro sembra fluido e l’”Ursula bis” nasce azzoppato proprio alla vigilia dell’arrivo del ciclone Trump con la sua larga scia negazionista a trazione Oil & Gas che ha già minato e disattivato gli accordi alla COP29 di Baku, dove peraltro l’Unione europea non è pervenuta e la stessa Von der Leyen è rimasta a casa, lanciando un pessimo segnale e forse un amo ai Conservatori.
L’Unione non può rischiare lo stallo proprio mentre ci sarebbe bisogno di più Europa nel mondo per recuperare priorità che sembrano smarrite, di rilanciare con forza e coraggio una nuova transizione ecologica fatta di lavoro, crescita e investimenti e sicurezza per tutti per fronteggiare l’emergenza climatica e adattare le aree urbane agli sconquassi degli eventi estremi, con l’innovazione industriale in tutti i campi a partire dall’automotive.
La Commissione dovrà convincere tutti che decarbonizzare sul serio l’economia o l’edilizia o la mobilità conviene a tutti, correggendo il suo clamoroso errore di non aver saputo contrastare come si doveva chi ha fatto passare la grande e inevitabile sfida del Green Deal contrapposta alla crescita e al benessere e all’occupazione in nome della falsa vulgata di un futuro green fatto solo di lacrime e sangue per crolli di asset produttivi nazionali e chiusure di fabbriche. Questa narrazione è figlia non solo dell’ignoranza delle enormi opportunità ma anche di politiche green europee non sostenute da una comunicazione diffusa, coerente e chiara e non burocratica e con la percezione di avere a che fare con prescrizioni e vincoli. Aver lasciato sullo sfondo le immediate opportunità economiche e ambientali che hanno creato, creano e creeranno tanta occupazione e nuove economie in tanti settori nella competizione globale, soprattutto con Cina e Usa, è stato il flop del primo mandato.
Al contrario, l’Europa oggi può e deve assumere la leadership scientifica, industriale, tecnologica e di azioni concrete della lotta climatica e per la decarbonizzazione. Deve riuscire, comunicando finalmente con efficacia i suoi investimenti, a raggiungere target e risultati per sgonfiare le troppe balle spaziali che fanno volare negazionisti e frenatori interessati a non toccare le economie climalteranti.
Non dimentichiamo mai che l’impegno preso dall’Europa è di diventare il primo continente del Pianeta a impatto climatico zero nel 2050, azzerando le emissioni nette di gas a effetto serra e aumentando sviluppo e sicurezza climatica. E allora, che i clamorosi investimenti in corso e quelli da impegnare siano davvero “il nostro sbarco sulla Luna”, come Ursula von der Leyen paragonò con efficacia nel gennaio 2020 gli obiettivi della “Legge europea sul clima” che rese vincolante l’impegno alla neutralità climatica tra 25 anni, con la riduzione entro il 2030 delle emissioni dell’Ue di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990, e l’obiettivo intermedio per il 2040 indicato a febbraio 2024 al 90%. Non target lunari ma traguardi controfirmati dagli Stati membri, Italia compresa.
Ma la nuova Commissione europea dovrà renderli “desiderabili” per tutti. A partire dall’Italia, già forte di un Made in Italy nel suo strategico comparto della green economy.